Sessant' anni dopo qualcuno ha salvato il soldato Harry


Sulle colline di Imola a Monte Battaglia in Comune di Casola Valsenio, due storici dilettanti che cercano reperti della seconda guerra mondiale. E trovano delle ossa.. inizia così un indagine difficile e appassionata, durata 7 anni, che termina a Detroit. Dove dal 1944 una famiglia piange il figlio "missing in atction"  

Nessuno salvò il soldato Harry. Una granata se lo portò via il 5 ottobre del 1944, sui monti sopra Bologna, mentre dormiva nel suo fox-hole, la sua buca nel terriccio, stremato da ore di mitragliatrice. Ma Harry è tornato a casa lo stesso, sessant'arini dopo, come un Ulisse sfortunato, grazie a due amici sconosciuti e appassionati.
Questa è la storia di un milite non più ignoto, dl un metalmeccanico-metallaro, di un imprenditore-detective e di un'amicizia impossibile che ha scavalcato un secolo e un oceano. 
Il «metallaro» si chiama Renzo Grandi, e tutti a Imola sanno che da trent'anni, quando smonta dalle sue otto ore d'officina, acchiappa il metal detector e va a setacciare filo d'erba per filo d'erba le pendici dell'Appennino, là dove il generale Glarke sfondò la Linea Gotica al prezzo di migliaia di vite, e dove basta grattare un po' le zolle perché saltino fuori proiettili, borracce, distintivi. 
Grandi ne ha una collezione in cantina, ma i pezzi più belli li regala al museo di Castel del Rio che ha fondato con alcuni amici. Quel 3 di giugno del '96 dalla terra di Monte Battaglia riemerse un elmetto americano. Solo che, sotto, c'era anche il proprietario, addormentato lì da mezzo secolo. «Era ancora coricato su un fianco, un po' rincantucciato». 
Vennero quelli del consolato Usa, impacchettarono il mucchietto d'ossa e se lo portarono via. A Renzo rimasero un paio di anelli, un braccialetto d'argento, un orologio, un portafogli con la fotografia di una ragazza e la piastrina con un nome: Harry Castilloux, un numero di matricola, 35895836, e una data di nascita, 24 settembre 1920. Quei reperti, però, non finirono nè in cantina, nè al museo: «Erano tutto ciò che restava di una vita umana. Non erano roba mia. Dovevo restituirli alla famiglia. Dovevo riportare Harry a casa».

Ma quale casa? Dove? Al consolato americano tutti cortesemente muti, neanche una parola, «per rispetto della privacy». Renzo stava per rinunciare. Ma qui entra in scena Alberto Forchielli, imprenditore e ciclista appassionato, tanto che s'è comperato l'Atala (non solo la bicicletta:tutta quanta l'azienda). Ha una villetta a Montecatone, e da queste parti ci si conosce tutti:«Alberto> tu che vai spesso n America, puoi mica aiutarmi a  fare qualche ricerca?».
Alberto negli Usa ci ha studiato, ad Harvard: «Pensavo che fosse una cosa da niente, qualche telefonata». Invece, acci­denti, fu come cercare un ago in un pagliaio. Inutile chiedere alle autorità: «Sono salito fino al Pentagono: gentili ma riservatissimi». Ricerche sui siti specializzati, telefonate alle associazioni di reduci, centinaia di lettere, niente. Niente per anni. «Ma intanto Harry mi cresceva dentro, mi occupava la mente giorno e notte. Mi era scattato il transfert. Chi era quel ragazzo che poteva essere mio padre, morto all'età di mio figlio, a cui mi stavo affezionando come a un fratello? Cosa lo aveva portato a morire qui, vicino a casa mia? Aveva una madre, una moglie, dei figli? Facevo l'alba attaccato a Internet, volevo andare fino in fondo».

Qualche mese fa, un colpo di genio:
«Ho comperato online il censimento Usa del 1930». E li, viva i portenti dell'e­lettronica,
fra milioni di nomi ecco quello del piccolo Harry Castilloux, nove anni, residente a Royal Oak, Michigan, un sobborgo di Detroit, assieme ai genitori e a cinque fratelli e sorelle. A quel punto è bastato un elenco telefonico. «Sì, mi chiamo Albert Castilloux. Sì, mio fratello Harry morì in Italia durante la guerra, ma lei cosa vuole?», la voce dall'altro capo dell'Atlantico era anziana, lucida, ma diffidente. «Temeva che volessi spillargli dei soldi, me lo ha confessato dopo». 
Invece Rita, un'altra sorella, si fidò: «Va bene, venite, vi aspettiamo». Così Il soldato Harry è tornato a casa, la scorsa Pasqua. Quel giorno sotto il portico della casetta di legno di Hazel Park c'erano i fratelli, tutti ancora vivi, i figli i nipoti.
«Né io né Renzo volevamo cerimonie: ancora prima di entrare in casa consegnammo a Rita gli anelli, l'elmetto, le piastrine, il braccialetto con il nome, il portafo­gli», assieme a due affettuose lettere di saluto con firme importanti: del presidente Ue Romano Prodi e del ministro Franco Frattini. «Welcome back Harry», Rita piangeva baciando l'elmetto arrugginito. 
Abbracci, commozione, «Thank you Alberto, thank you Renzo». «Ho capito in quel momento che non avevo traversato l'oceano solo per consolare una famiglia», racconta Alberto, «lo avevo fatto per il mio amico Harry: per conoscerlo, finalmente». Ed era li ad aspettarlo, naturalmente. Harry, incorniciato e appeso al muro del sog­giorno: un ragazzino della provincia americana, figlio di modesti immigrati dal Canada, viso sottile, orecchie un po' a sventola, timido e orgoglioso sotto il tocco da diplomato, l'unico della sua famiglia ad avere studiato e a continuare a farlo, alle serali, mentre già lavorava da fresatore alla Ford (dove mai può lavorare un ragazzo di Detroit negli anni' Quaranta?); e poi goffo nella divisa da Gi, bustina sulle ventitré e distintivo del 350° reggimento, 88' divisione, i Blue Devils: ma altro che diavolo, «era un ragazzino fragile, sessanta chili, quasi un bambino, proprio come lo avevo immaginato, solo nei film di Hollywood i soldati hanno la faccia di Gary Cooper o il fisico di Rambo».

Non ha mal smesso di far domande, Alberto, ai parenti, agli amici, ai commilitoni di Harry: «Ho saputo tutto di lui, le sue fughe in barca, o quella volta che mamma gli trovò un condom in tasca... Ho scoperto un ragazzo dolce, meraviglioso: col primo stipendio comprò il frigo ai genitori, col secondo unà radio Philco che funziona ancora». Un personaggio da film di Frank Capra, ma col finale alla John Houston: «Lavorando all'industria bellica poteva scamparsela, ma non sopportò che in paese dicessero che era un vigliacco. 

Rinunciò alla dispensa, lasciò i suoi risparmi a mamma Louise e partì per l'Europa». E la ragazza della foto? «Per Rita è stata una,sorpresa: non so chi sia, mi ha detto, Harry non aveva la fidanzata. Forse una ragazza italiana una segnorina conosciuta a Livorno: la sua prima destinazione. Sono sicuro che le ha chiesto di sposarlo».

Nel pacco di documenti che Alberto ha messo insieme con spirito da biografo e fiuto da investigatore c'è anche il rapporto militare su «private Castilloux, missing in action»: dice solo che fu visto per l'ultima volta al­le ore 15 del 4 ottobre, quando andò a riposarsi nella tana che si era scavato sul fianco del monte Battaglia, l'ultimo picco prima della pianura padana, nove volte preso, nove volte perso, mille morti sui due versanti. Poco dopo si scatenò l'inferno, gli americani dovettero ritirarsi. Di Harry nessuna traccia. 

Adesso, su quel costone di arenaria che si raggiunge solo scarpinando lungo un sentiero
scosceso, Renzo e Alberto hanno murato una piccola targa azzurra col suo nome.
Alberto la spolvera con la mano. «Niente retorica, è stato solo un piccolo atto di giustizia», minimizza Renzo.
«Harry mi ha fatto capire che nelle guerre non ci sono solo grandi macchine e grandi bombe, ci sono piccoli uomini che valgono molto di più». Alberto si riscuote: non è tipo da lacrimucce., il manager ciclista. 

Sulla torre medievale in cima al cocuzzolo sventola una bandiera della pace. «quel che conta è che Harry è tornato a casa, e ora può riposare». E anche i due amici italiani, dopo sette anni di faticose ricerche. «Sì, certo. Però... C'è quella ragazza. Quella della foto nel portafoglio. Chi sarà? Vivrà ancora? E dove?».
MICHELE SMARGIASSI (foto di Roberto Serra /iguana Press da Venerdì di Repubblica)

Foto di gruppo con i componenti della famiglia Castilloux - La sigla dello striscione significa "Prisonir of war, missing in action", l'associazione che favorisce le ricerche sui soldati caduti o scomparsi in guerra.


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