NOI RICORDIAMO Lettere immaginarie e poesie

 Lettere immaginarie e poesie



Premessa

Da ragazzino, pensavo che i partigiani fossero super eroi.
Non conoscevo molto della guerra – grazie a Dio – e mi sembrava che loro avessero potuto fare per davvero tutte quello che io e i miei amici sognavamo a occhi aperti ogni giorno.
Sfuggire con abili stratagemmi al nemico, dormire all’aperto tutte le notti, senza la mamma che ti inseguiva per farti lavare i denti, e soprattutto combattere i cattivi. Magari, meritarsi una bella medaglia al valore.
Pensavo fosse un gioco.
Solo più tardi, crescendo, ho scoperto che la guerra non è quel genere di avventura simile alla lotta tra indiani e cow-boy, o all’esplorazione di un isola misteriosa piena zeppa di indigeni sanguinari.
La guerra, scoprii, si trascinava dietro un sacco di dolore, tanta miseria e la morte.
La guerra, e questa fu per me una scoperta incredibile, non toccava solo i combattenti.
Non erano solo uomini più o meno in divisa a rimanere sanguinanti per terra.
Anche il popolo, moriva.
Anche i bambini, addirittura.
E non era solo quello.
Chi non moriva, restava con cicatrici profonde.
Non solo fisicamente.
I legami famigliari si spezzavano, le case venivano abbandonate, nel caos di perdevano di vista zie e cugine, i tetti crollavano e mangiare diventava un grande problema.
La guerra non erano solo le pallottole e i fucili, i colpi di cannone e gli stormi di aerei che oscuravano il cielo.
La guerra aveva un lato subdolo, furtivo, che ti strappava via le cose, e le certezze su cui basavi la tua vita.
Ti rubava la speranza.
A quel punto la guerra partigiana, la Resistenza, come imparai a chiamarla con questa utile parola in italiano, divenne più umana a miei occhi.
E più potente di qualsiasi altra cosa.
Era ancora più difficile, scegliere quella strada.
Non era solo epico e coraggioso.
Era doloroso.
È facile essere Superman, quando sai che le pallottole ti rimbalzano sul petto come ghiaino.
È molto più complicato affrontare il pericolo quando sei poco più di un ragazzo, e ti ritrovi lontano da casa, con i vestiti a brandelli, senza cibo, circondato dalla paura, armato solo di quel po’ di speranza che il cuore riesce a produrre.
Non so, c’era qualche cosa di glorioso in quegli uomini.
Qualcosa di fragile e splendente, ma anche particolarmente tenace.
Come un diamante.
Non ho avuto l’onore di incontrare Aurelio, quando andavo a scuola.
Conoscendomi, so che sarei rimasto ipnotizzato dai suoi racconti.
Ma con i miei amici, il sabato, andavamo spesso a Monte Battaglia, a far finta di giocare alla guerra.
Ogni tanto trovavamo qualche scheggia arrugginita.
Per fortuna, frequentando prematuramente il bar, avevo sentito raccontare molte cose sulla resistenza.
E alcuni fatti di quei racconti si erano sedimentati dentro di me, come sabbia.
Tenendo in mano una scheggia, capivo che la guerra non era qualcosa di fasullo e leggero, come la latta.
Era un metallo più pesante, dai bordi taglienti, che andava maneggiato con estrema cura.
Fissavo le schegge con attenzione,come se avessero scritto sopra una storia particolare; come  una specie di fossile risalito dal passato.
A guardarle bene, mi avrebbero spiegato qualcosa sul mondo che vivevo, e sugli uomini che lo popolano.
Gli alunni che nel corso degli anni hanno incontrato Aurelio a scuola, spesso poi gli scrivono qualche lettera.
Sono lettere di bambini, fragili e un poco didascaliche, perché i bambini ascoltano e non sempre hanno parole tutte loro per raccontare le storie più grandi.
Fortunatamente, il mondo non li ha ancora riempiti fino all’orlo.
Ma questo non vuole dire che non capiscano.
I bambini hanno dei piccoli setacci, in testa, e filtrano i racconti.
Il sedimento che rimane e più prezioso dell’oro.
Niente e nessuno potrà mai toglierlo da lì; resterà ben saldo sul fondo, mentre la loro vita continuerà a scorrere come un torrente.
E quando gli capiterà di guardarla, vedranno quella sabbia luccicare. Cristiano Cavina




Ca’ di Puro Cielo, 04/05/1944
Cara Luisa,
sono io, il tuo caro marito Orso; sì, ti scrivo questa lettera perché, come sai, è già da sei mesi che sono lontano da te, e oggi non abbiamo ricevuto nessun attacco dalle forze nemiche, quindi siamo tutti in riposo, dentro una stalla che un generoso contadino ci ha offerto.
Sai, non mi ero mai reso conto fino ad ora quanto i contadini aiutino e nutrano i partigiani. Ora qui siamo in quindici partigiani, prima ti ho detto che oggi ti scrivevo perché non c’erano nemici, ma ti avrei scritto comunque, perché nella battaglia di ieri sono stato ferito ad un braccio e non posso maneggiare il fucile. Non preoccuparti, guarirà presto, e poi hanno detto che presto arriveranno gli Inglesi.
Fra poco quindi ci riforniremo di abiti e di armi; ma, piuttosto, quando mi risponderai vorrei sapere come va a casa col piccolo Marco e se ti aiuta. Spero proprio di sì, poiché credo che resterò via da casa ancora per molto tempo: il comandante ha detto che dobbiamo girare e conquistare ancora tutto il crinale sud della catena montuosa, ma stiamo aspettando i rinforzi di altri due gruppi partigiani: per ora teniamo d’occhio il punto più alto del monte e lo difendiamo. Non vorrei prolungarmi troppo sulla nostra vita, piuttosto volevo dirti che mi manchi e mi manca anche Marco, ma mi mancano anche le tue bistecche, soprattutto in quei giorni in cui si mangia poco poco.
A volte, per procurarci da mangiare, rischiamo la vita; infatti tre giorni fa Rosso, che aveva il compito di attraversare il bosco per andare al mulino a prendere la farina, è stato ferito ad una mano dai tedeschi, per fortuna è già guarito, ma se lo beccavano un po’ più in giù, era morto. Lui però ha detto che ne valeva la pena, infatti, dopo, abbiamo mangiato tre chili di pane che abbiamo divorato subito, perché erano tre giorni che non mangiavamo. Ma non c’è confronto con le tue bistecche e poi, quassù si mangia solo uno volta ogni tanto perché, quando si è in battaglia, non si sente la fame e a volte si passa l’intera giornata senza mangiare.
Comunque quassù c’è molto di peggio: solo da due giorni ci siamo stabiliti in questa stalla, prima abbiamo marciato nel fango per giorni e giorni, e dormito sotto l’acqua, ma per fortuna, quando siamo arrivati presso un contadino, non ha esitato a darci un caldo alloggio: sono proprio buone persone questi contadini! 
Lo so che stai facendo una vita difficile perché devi sempre lavorare, spero che mio padre ti aiuti, e lui sta bene vero? E ora ti saluto e scrivimi al più presto, fra due giorni Inchiostro verrà giù nella piazza della città e tu devi essere lì a prendere le lettere e due settimane dopo lui tornerà e tu gli darai la lettera che mi scriverai, lo riconoscerai perché gli mancano due dita e ha un occhio bendato.
Ti voglio bene e spero di potervi rivedere presto tutti. Orso III media  


Cara Lucia,
come stai? Spero bene, io abbastanza. Sai, le condizioni quassù non sono molte buone (non ti preoccupare), non abbiamo il necessario, ma per fortuna i contadini che non hanno subito il rastrellamento ci portano quello che possono... aspetta. . . è arrivato Mingo che ci ha portato un po’ di pane e delle borracce di vino.
Nella mia trincea c’è anche Riglia e dice che ti saluta e vuole sapere come sta la sua famiglia. A proposito, come stanno Maria e Luca? Da’ loro un bacione da parte mia.  Come ti ho già detto nelle lettere precedenti, la vita quassù è molto logorante, ti senti come se fossi fuori dal mondo, sperso, a pensare a quando finirà tutto e a come finirà; e, come se non bastasse, il Comando, tutti i giorni, ci assicura che le munizioni arriveranno ma non è così.  Io cerco di rubarle a quelli che uccidiamo, ma non sempre è così facile, perché il cecchino dei nemici è sempre in agguato come il falco con la sua preda. Nella nostra brigata siamo rimasti in dodici su venti.
Sta giungendo la notizia che sono in arrivo le brigate Giacomi e Mengheri perché dobbiamo sferzare un attacco fra tre giorni. Forse questa è la volta buona che liberiamo Monte Battaglia e dintorni.
Sai, sono felicissimo al pensiero che potrò finalmente rivedervi tutti e tre. 

Però, devi anche sapere una cosa: mi rattrista il fatto di attaccare i nemici, perché, quando siamo faccia a faccia, mi accorgo che non sono soldati, ma uomini come me e se sono lì, è perché, forse, non sanno che i fascisti non realizzeranno mai i loro ideali di libertà e di uguaglianza e non manterranno tutte le loro promesse e magari alcuni ci sono andati solo per guadagnare dei soldi per mantenere le famiglie. Però, quando sono lì, la ribellione, provocata dal timore di morire, mi invade e sparo senza pietà contro i nemici che cercano di avanzare.
Se sono al riparo non mi faccio intimidire perché mi sento al sicuro e lancio le bombe a mano con tutta la mia forza. Il problema è quando piove: noi siamo impreparati, le scarpe si inzuppano come i pochi stracci che indossiamo e ad ogni passo, ad ogni movimento è un’agonia. È da due mesi che non affrontiamo uno scontro vero e proprio, ma fra tre giorni... mi sento crescere una paura fortissima che mi angoscia.

Ora basta, non volevo farti sentire male, scusami. Piuttosto, grazie per avermi inviato la foto del matrimonio di tua sorella, porgile i miei auguri e ringraziala per esserti stata vicina.
Ritornando a noi, il battaglione è stato diviso in due parti: una metà è andata a combattere a Purocielo e l’altra, tra cui io, è rimasta a difendere le nostre posizioni, ma la battaglia a Purocielo è stata sanguinosa, molti dei nostri sono stati sconfitti e uccisi. Della mia compagnia sono rimasti solo due perché si sono finti morti quando gli hanno sparato (sbagliando la mira, li hanno colpiti uno alla spalla e l’altro alla tempia di striscio).
Ora però ti lascio, spero che tu mi risponda al più presto.  Con amore Marcus  


Casola Valsenio, 7-09-44
Cara Giovanna,
oggi abbiamo tentato di tendere un agguato ai nostri nemici  tedeschi. È stato un attacco poco organizzato e per questo abbiamo perso molte vite umane.
Tu come stai? Io sto abbastanza bene, ma la vita da partigiano è abbastanza dura, perché, quassù, nascosti sulle montagne e considerati dai tedeschi dei traditori, c’è sempre il pericolo di farsi ammazzare. Lo so, tu non hai mai capito perché io abbia messo a rischio la mia vita per fare il partigiano, però, sai, a fare il partigiano ti senti importante, perché lotti per la tua patria e nessuno di noi ha paura di morire da eroe.
Trascorriamo i nostri giorni cercando di fare dei sabotaggi contro i tedeschi in base agli ordini emessi dal CNL, che è l’organizzazione che ci guida nella lotta contro gli occupanti tedeschi e ci comunica le operazioni da eseguire. Ti spiego cosa è successo nell’ultimo agguato: siamo riusciti a sapere il luogo in cui si sarebbero recati i tedeschi, pensavamo che fossero in pochi, ma, ahimé, erano un grande esercito e siamo stati costretti alla ritirata; la nostra strategia, infatti, è tutta fatta di piccoli attacchi molto rapidi e, visto che in questa occasione erano in troppi, non siamo riusciti a procedere in questo modo.
Comunque, non ti preoccupare, la mia vita da partigiano si svolge abbastanza bene, anche perché ci sono i contadini che, anche se hanno poco o niente, ci aiutano come meglio possono e fanno sempre in modo che ci arrivi del pane. Oggi, ci siamo messi in contatto con altri partigiani del luogo per tentare altri attacchi. Come sai, i partigiani sono formazioni volontarie che lottano contro gli occupanti tedeschi e cercano di liberare l’Italia e soprattutto di riportare in essa la pace, quindi, ogni partigiano, per me, è un amico e tutti insieme cerchiamo di collaborare per arrivare al nostro traguardo: la liberazione italiana.  Spero che la guerra termini presto, anche perché non vedo l’ora di riabbracciare la mia famiglia, perché mi sento lontano da voi.
Ti devo raccontare un fatto spaventoso: ieri alcuni tedeschi hanno fatto incursione nel rifugio in cui noi partigiani risiediamo e non ti dico cosa è successo, per fortuna che io e alcuni compagni eravamo usciti, e quindi,non ci hanno sorpresi. Quei poveri partigiani invece che sono stati presi alla sprovvista dai tedeschi sono stati uccisi e altri, che sono riusciti fortunatamente a fuggire, sono qui, in lacrime, che ci raccontano il fatto accaduto.
Sono stanco di questa guerra, però io non mi schiererò mai con i tedeschi, poi se penso all’Italia fascista e a tutte le cose terribili che sono accadute in questo periodo… Voglio mostrare a tutti che l’Italia ha ancora il coraggio di ribellarsi e che, anche grazie alla resistenza, riuscirà a vincere questa guerra a fianco degli alleati anglo-americani. Io credo nell’Italia e sempre avrò fiducia nella nostra patria.
Ora sono costretto a lasciarti, non ti preoccupare per me, io sto bene. Salutami tutti. Ti voglio bene!  Il tuo Pino



Monte Battaglia, 11-10-'44
Cara Luisa,
mi ritrovo qui a fare il comandante di una brigata partigiana, chi l'avrebbe mai detto...eppure, sono ancora vivo. Pensa, mi hanno addirittura affibbiato un soprannome per non far riconoscere la mia identità ai tedeschi. A me piace... il mio nuovo nome è Dinto.
I tedeschi stanno attaccando e noi stiamo qui a difenderci aspettando i rinforzi, che abbiamo chiamato da due giorni... e pensare che in quel lontano 8 settembre 1943, la guerra sembrava finita... invece, proprio dopo questa data, i nemici hanno incominciato a fare sul serio.
È già da una settimana che attaccano, e noi stiamo in questa montagna senza muovere un dito come pulcini in gabbia.
I tedeschi non la smettono più, sparano di continuo dalla mattina alla sera... ma quanti proiettili hanno?
Beh, prima o poi si fermeranno e finalmente potremo dare inizio alla festa. Adesso basta, bisogna agire, ormai i rinforzi non arrivano più e quegli sporchi figli di Hitler hanno quasi conquistato la base. Sono intenzionato ad ucciderli tutti, ma prima ho bisogno di un piano.
Accidenti, in poco tempo ci hanno raggiunti e se non arrivano i nostri, ci toccherà abbandonare il campo. Ce l'abbiamo fatta! Abbiamo eliminato l'esercito nazista. La guerra non è ancora finita, ma  abbiamo vinto una battaglia importante. Penso che se continueremo così, presto l'Italia sarà libera e finalmente potrò tornare a casa.
Oh, quasi dimenticavo, come state tu ed il bambino? Siete ancora liberi dai Tedeschi? Ti prego cara, cerca di difenderti e chiedi aiuto ai partigiani che hai vicino, se ti serve aiuto.
Amore mio, ogni giorno che passa penso a te e mi si spezza il cuore. Mi ritornano in mente i bei momenti di pace e serenità vissuti con te, anche se non eravamo dei re, il tuo pranzo, la tua dolce presenza e quella di nostro figlio. Se ricordo quando dormi­vo tranquillo accanto a te, mentre ora sono costretto a stare sull' attenti 24 ore su 24. Spero proprio che questa guerra maledetta finisca presto, ho bisogno di vedervi e di riavvertire quel calore che solo voi mi date.
Quando tornerò voglio vedere una famiglia felice... e non scordatevi di rispondermi!
Saluti Dinto


Casola Valsenio, 8 - 11 - '43
Cara moglie
sono io, tuo marito, scusa se ti ho chiamato ‘moglie”, ma lo sai, in fondo lo faccio per il tuo bene, se scrivo i nomi veri potremmo essere scoperti e i fascisti non esiterebbero ad uccidere te e i nostri figli; i tedeschi, non tutti, sono crudeli, hanno un cuore di ferro, anzi forse non ce l’hanno nemmeno; altri, invece, sono buoni con noi e ci aiutano, sono contro il fascismo e si alleano con i partigiani, a rischio della loro stessa vita; comunque, dimmi, come stanno i miei amati figlioli?
Mi mancano tantissimo, se sono ancora vivo è grazie a voi che mi date ogni giorno la forza di vivere e di combattere per un’ ideale: per i miei figli, per offrirgli una vita migliore e che un giorno non debbano passare quello che stiamo vivendo noi ora! Ma parlami di loro, sono cresciuti? Sono diventati grandi? Come stanno? Parlano di me? E mia mamma e mio babbo come vanno? Lo so che stanno soffrendo per me e anche tu, ma non ti “preoccupare”!
La lettera di due mesi fa era più bella, vero? Purtroppo le mie speranze sono andate in fumo, quando l’8 settembre Badoglio ha firmato l’ armistizio con gli Americani. Credevamo che la guerra fosse ormai finita, che ce l’ avessimo fatta, che presto avremmo potuto vedere le nostre mogli, i nostri figli, e abbiamo fatto una grande festa! Ma questa era solo una speranza che veniva dal cuore, un sentimento grande, astratto, non concreto, purtroppo la guerra per noi iniziava proprio quel fatidico giorno.
Nella nostra brigata ci sono partigiani giovani di diciassette, vent’anni che piangono, piangono spesso, per la loro famiglia, per la loro fidanzata, allora io mi avvicino e cerco di consolarli, perché, in questo modo, aiutandoli è come abbracciare una parte della mia famiglia, vi sento così più vicini.
Un giorno, quando la guerra sarà finita, se ci sarò ancora dovrò ringraziare quei contadini, quelle eroiche donne che fanno la staffetta, ci portano viveri, notizie e vestiti nelle notti di gelo, e rischiano la vita come noi, ogni giorno!
Tu, nella lettera precedente, mi avevi scritto che volevi iniziare a fare la staffetta, ma non farlo, ti prego, resta con i nostri figli a casa, ti prego, non venire, non perché non ti voglia vedere, ma rischieresti la vita, tu abiti molto lontano da dove siamo noi, se qualcuno ti vede, potrebbe fare uno soffiata, non rischiare lo vita, consola mia mamma e i bambini, stai loro vicino, non lasciarli, loro, senza di te, potrebbero morire o non riuscire ad andare avanti! Fallo per me!
Qui il tempo a volte non passa mai, nei momenti vuoti cerco di riposarmi, di dormire, ma non ci riesco, perché quello che vedono i miei occhi ogni giorno è troppo crudele, vedere centinaia di persone morire senza nessuna colpa, solo per liberarci o aiutare il mondo. Un domani, spero che i  giovani non le scordino mai queste parole, testimonianze vissute sulla nostra pelle. Quando finirà questo genocidio?
Ogni giorno penso: forse oggi è il nostro giorno fortunato, forse oggi come tutto per magia finisce, ecco, questa piccola luce di speranza mi dona una magnifica forza, perché molti miei compagni, quando perdono la speranza, spengono la vita.
Appena ricevo delle belle notizie, ve le comunicherò al più presto, magari anche a voce! Tu sai dove siamo, vero? In questa lettera non lo posso dire, perché i fascisti potrebbero intercettarla e mettere a repentaglio la vita di tutti noi. Se hai bisogno di informazioni, chiedi ai contadini più fedeli, loro ti sapranno rispondere.
Ciao, ti voglio tantissimo bene, dai un bacio tutte le sere ai bambini da parte mia.
P.S. Il mio soprannome è Spillo, proprio come il mio cagnolino, come sta? È ancora in vita, vero? Ciao


RICETTA DELLA LIBERTA’
Amalgamare l’amore con la gioia
Versare la felicità
miscelare la libertà
e infine aggiungere il rispetto.
Infornare nel cuore di tutti.
Mattia R.


LIBERI
La Libertà è un sogno
Che bisogna vivere.
La libertà è la vita
Che bisogna rispettare.
La Libertà è un rispetto
Che bisogna dare e ricevere.
In questo mondo non tutto è così,
ma con la pace e la serenità
ogni uomo potrà godere della
        “LIBERTA’”
Martina C.


I SOLDATI MUOIONO
I soldati muoiono,
ma non muore il loro sogno
di una patria libera.
Ancora un minuto volevano restare,
per vedere il loro sogno avverato,
per gridare al cielo il loro sacrificio.
Ma in vece riposano,
riposano in pace.
Ilaria F. e Silvia L.


FRATELLANZA
Perché tanto odio?
Perché la guerra?
Tutti
amano,
desiderano,
invocano
la PACE
ma Pace
non c’è!
Camminiamo,
fratelli,
insieme
nell’amore
e nella Libertà.
Emanuele L.


TEMPO DI GUERRA
Momenti di dolore
d’angoscia;
sfollati
ammucchiati
nei rifugi
al riparo
dalle bombe
lanciate
dagli assordanti
cacciabombardieri;
mentre sui monti vicini
il partigiano
combatte
per la pace
e la libertà:
beni tanto grandi,
ma ancora
così lontani.
Lisa F.


PER LA PACE
Folate di vento
scuotono rami d’ ulivo;
s’ode un lontano
fruscio di pace.

Colori di fiori,
dipinti in un prato,
emanano un intenso
profumo di pace.

Onde del mar,
rumore di flutti:
continuo e perenne
richiamo alla pace.

Notte di stelle,
contemplazione luminosa:
immensa meraviglia,
oasi di pace.

Vita che nasce,
che suscita amore;
mitica favola
che parla di PACE.

Alessandra M.

 
ULTIMO BALUARDO
Combattimenti,
rappresaglie,
patrio suolo
insanguinato.
Sacrificio
di soldati:
alleati,
volontari
e partigiani
sulla linea gotica,
ultimo baluardo
di resistenza
verso la libertà.
Filippo N.



IL TEMPO NON S’ERA FERMATO
Giorni di paura,
di distruzione;
tempo di guerra
nel nostro paese.
Dentro le case
la gente
stava nascosta
col terrore
nel cuore.
Molti erano sfollati
nelle campagne vicine,
le case erano
in gran parte
abbattute.
Non più suono
di campane,
ma rombo assordante
di cacciabombardieri.
Sibilo di granate,
rovine fumanti;
solo s’ergeva
nei rifugi
il pianto
di donne e bambini.
Per le strade
c’erano morti
ovunque.
Quanta pena!
Lunga e disperata
attesa
di pace
e libertà.
Sara N

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