La Resistenza - La resistenza casolana


All'inizio dell'estate si apre una fase nuova della Resistenza casolana allorché il movimento contadino passa da una posizione di solidarietà e di semplice appoggio ad una presenza attiva nella lotta armata contro il nazifascismo; questa presenza non è però uniforme da un punto di vista territoriale e soprattutto si differenzia secondo lo stato sociale del variegato mondo contadino. Certo è che l'avversione ai nazifascisti, uniformemente e profondamente diffusa, non ha di per sé la capacità di creare un legame tra i contadini i quali, oltretutto, non hanno strutture o esperienze collettive attraverso cui realizzarlo. Si rende quindi necessario un in­tervento esterno e dove questo si verifica il movimento contadino balza sulla scena della lotta di liberazione da protagonista, mentre in altre zo­ne un alto potenziale rimane inutilizzato. I mezzadri partecipano nella quasi totalità alla lotta partigiana senza distinzione di sesso e di età, ma naturalmente secondo le diverse possibi­lità, individuando in essa lo strumento per realizzare quelle conquiste sociali, politiche ed economiche che in parte erano state raggiunte nel '21 e che il fascismo aveva poi cancellato. I CLN e i comandi partigiani dirigono i loro sforzi propagandistici soprattutto verso questa fascia di addetti alla agricoltura che costituisce la maggioranza e la parte più misera e già nel giugno del 1944 sulla stampa clandestina appaiono i primi documenti organici che avanzano rivendicazioni mezzadrili ed anche bracciantili.
Proposte di nuovi patti colonici verranno poi elaborate come vedre­mo nel corso del 1944 fino a diventare uno dei punti cardine della coesione tra il movimento contadino e le forze combattenti. L'opera dei partigiani è volta inoltre al salvataggio del bestiame, specialmente quello grosso, dalle razzie tedesche o dalle consegne obbligatorie agli ammassi fascisti. L'odio verso i tedeschi diventa sempre più profondo in conseguenza anche degli spietati rastrellamenti che essi effettuano tra la popolazione contadina per obbligarla al forzato lavoro nelle opere di difesa, al tra­sporto di armi o equipaggiamenti o per la deportazione nei campi di la­voro in Germania. Gli uomini validi, sia della campagna che del paese, evitano di formare assembramenti per non costituire una facile preda; purtuttavia vi sono manifestazioni, come quelle di carattere religioso, a cui è difficile rinunciare, sia perché non è facile non tener conto di sen­timenti profondamente radicati, sia perché le pratiche religiose non sembrano rappresentare un serio pericolo per il loro carattere specificatamente di pace. Ma non è così! I reparti di SS germanici non hanno re­more né morali né tanto meno religiose: la domenica 28 maggio, mentre una folla di fedeli è riunita nel piazzale della Chiesa di Baffadi per cele­brare la festa della Beata Vergine, compare un reparto di SS che aveva già fermato diverse persone trovate per via; il fuggi fuggi è generale e tanta è la confusione che quasi tutti gli uomini riescono a fuggire e a riparare nelle macchie vicine. La partecipazione dei coltivatori diretti che pure, come i mezzadri, subiscono sul piano economico e della sicurezza personale gli effetti negativi delle sopraffazioni nazifasciste, ma che sono meno sensibili a proposte di rinnovamento, è percentualmente più bassa (anche se è interessante notare come alcuni comandanti partigiani della zona provengano proprio dalla categoria dei coltivatori diretti), e varia da parrocchia a parrocchia. Un altro motivo di questa differenziazione tra la partecipa­zione dei mezzadri e quella dei coltivatori diretti sembra essere costituito dalla diversa posizione assunta dai parroci la cui influenza è assai rilevante fra i piccoli proprietari nei confronti della lotta partigiana: là do­ve il parroco si dimostra in qualche modo favorevole alla lotta partigiana la percentuale dei coltivatori diretti impegnati nella Resistenza è infatti più alta. A tale riguardo è opportuno osservare che in genere il basso clero, i parroci di montagna e dei piccoli centri rurali sono direttamente impegnati nella lotta di liberazione, se pur in posizioni più o meno scoperte, mentre le forze dell'alto clero operano con funzioni mediatrici tra le opposte forze in campo o sono rivolte a contenere le spinte estreme dei partiti del CLN. I possidenti di campagna continuano a mantenersi per lo più nella posizione assunta nel corso dei «45 giorni». Dall'analisi della composizione della Resistenza casolana si può rilevare un dato a prima vista abbastanza sconcertante, e cioè il numero assai esiguo, fra le forze più direttamente impegnate nella lotta, di elementi provenienti dalla piccola e piccolissima borghesia del paese: nego­zianti, commercianti, artigiani, impiegati (anche se non si può tacere dell' aiuto di qualche negoziante che rifornisce i partigiani di viveri e di ge­neri di consumo comune ricevendone in cambio peraltro denaro e buoni di prelevamento della brigata). Non è facile dare una spiegazione di questa limitatissima presenza (soprattutto se si considera che proprio tra gli artigiani il movimento operaio casolano aveva avuto nel periodo pre­fascista la sua roccaforte), essendo anche piuttosto complicato in questo caso discernere tra eventuali motivazioni ideali e politiche e invece sollecitazioni di altra natura: ad esempio il fatto che si tratta di categorie che per vivere, specialmente in un piccolo ambiente come quello paesano, hanno bisogno di mantenere buoni rapporti con tutti, insomma di non compromettersi. Se vogliamo completare questa analisi della partecipazione della gente del paese alla Resistenza attiva dobbiamo anche notare un altro dato negativo, e cioè l'assenza totale delle donne. A ciò concorse indubbiamente una serie di fattori oggettivi: non c'era, ad esempio, nel capoluogo la terribile tensione che derivava dai micidiali rastrellamenti o dalle spietate requisizioni che invece venivano effettuati nelle campagne, né erano operanti centri di direzione politica come il CLN locale od organizzazioni come i «Gruppi di Difesa della Donna» in grado di sollecitare ed indirizzare una partecipazione femminile. Ma si aggiungevano anche fattori soggettivi, primo fra tutti la cono­scenza assai vaga e spesso distorta della natura e delle finalità reali del movimento partigiano che erano invece meglio conosciute dalle donne di campagna che vivevano a contatto diretto con le formazioni e proprio perciò potevano   quale più, quale meno - intendere i contenuti socia­li e politici della lotta. E questo spiega anche perché solo proprio nel­l'ambiente del mondo contadino casolano sia possibile trovare tracce di una partecipazione femminile - per quanto anch'essa limitata - alla Resistenza.

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A questo punto è possibile individuare, se pur su linee approssimative, la struttura e la dimensione della resistenza casolana. Nella zona di Valsenio-Monte Mauro - Cavina opera un Gruppo di Azione Patriottica (GAP) guidato da Giuseppe Domenicali (Jusèf d'la Lama) e composto di 10-12 elementi. La sua costituzione è dovuta all'iniziativa del CLN di Riolo e i suoi compiti all'inizio sono prevalentemente di disturbo o sabotaggio (sostituendo, ad esempio, i cartelli tedeschi che avvertono della presenza di bande partigiane o sabotando le trebbiatrici che lavorano per i tedeschi) fino ad arrivare all'attacco diretto alle truppe tedesche e fasciste, pur entro certi limiti. Questi limiti che il GAP si è posto - e che possono essere abbastanza discutibili - derivano dalla preoccupazione di eventuali rappresaglie tedesche contro la popolazione civile che non può essere efficacemente difesa poi dalle for­ze partigiane troppo deboli inizialmente. I componenti di questo GAP sono giovani, tutti renitenti alla leva, che di giorno si tengono nascosti e la notte si ritrovano per azioni rapide e rischiose che, anche se non ottengono clamorosi effetti diretti sul ne­mico, purtuttavia fanno sentire alla popolazione che c'è chi combatte contro i tedeschi e i fascisti. Le armi di cui il GAP dispone sono quelle nascoste dopo l'8 settembre in parte dallo stesso Jusèf e in parte prove­nienti dal Monticello di Campiuno dove   si dice   sono state reperite dietro indicazione del conte Ferniani. In questo gruppo si realizza anche un processo di maturazione politi­ca soprattutto attraverso il cosiddetto «collettivo politico»: si tratta di riunioni che Angelo Morini, Leo Mongardi e altri componenti del CLN riolese tengono con una certa regolarità nelle case della zona in cui opera il GAP - prevalentemente il Gualdo o i Crivellari - al fine di dare alla lotta armata dei contenuti politici sempre più chiari. Dal punto di vi­sta militare questo gruppo è inquadrato nel distaccamento «Celso Strocchi» comandato da Sesto Liverani (Pali) di Brisighella e facente parte della 28a Brigata Garibaldi «Mario Gordini», che opera nella bassa ravennate in contatto con il CLN provinciale di Ravenna. Nella stessa zona sotto l'influenza del GAP, ma in un secondo tempo, viene ad operare anche una Squadra di Azione Patriottica (SAP) sempre per iniziativa di Angelo Morini che tramite Jusèf ne incarica della costi­tuzione Paolo Giacometti, un ex ufficiale di complemento dell'esercito che si nasconde nei pressi della sua abitazione a Valsenio. Paolo Giacometti si mette immediatamente all'opera, prende contatto con chi sa essere avverso ai tedeschi, la notte va a veglia nelle case della zona e tra un discorso e l'altro «tasta il polso» ai contadini sulla situazione politica e se accerta una disposizione alla lotta attiva propone di en­trare a far parte della formazione in corso di costituzione. I contatti vengono presi con tutti: uomini, donne, giovani ed anziani delle parrocchie di Valsenio, Settefonti, Pozzo, Mongardino, S. Andrea. La SAP   anch'essa inquadrata nella 28a Brigata - ha compiti di appoggio all'attività dei GAP che vengono a trovarsi nella sua zona: procurare armi, svolgere servizio di informazione, di assistenza e di propaganda presso i contadini che ancora non comprendono la necessità della lotta contro i tedeschi e i loro alleati fascisti. Di questa formazione -come anche del GAP di Jusèf - si servono i CLN del Ravennate per l'invio dei giovani alle formazioni partigiane della montagna. I componenti della SAP - circa trenta - sono tutti contadini e in particolare si registra un'alta percentuale di coltivatori diretti che prendono una posizione attiva in questa zona sia perché l'invito è giunto da uno di loro, sia per l'influenza esercitata in senso antifascista dal priore di Valsenio. Questa formazione rimane però piuttosto ai margini di quel processo di maturazione politica e sociale che coinvolge un po' tutto il movimento partigiano di estrazione contadina: sono pochi coloro che partecipano al collettivo politico dei GAP, mentre gli altri rimangono ancorati fondamentalmente a quelle motivazioni etico-morali di avversio­ne al fascismo che sono tipiche del mondo contadino che è profonda­mente legato alla chiesa. A questo va certamente aggiunta la rabbia per le requisizioni, per i bassi prezzi corrisposti per i prodotti che obbligatoriamente devono essere portati all'ammasso. Sul versante destro della vallata del Senio qualcuno viene avvicinato dagli uomini del Battaglione «Ravenna», tornati nell'alto faentino dopo il rastrellamento del Falterona ed impegnati nell'opera di costituzione di una grande formazione armata in contatto con il CLN di Faenza. Sul versante opposto opera un gruppo autonomo di 7-8 elementi, animati da un vago ribellismo antitedesco, ma le cui azioni   peraltro scar­se - sono condotte con metodi - da parte di qualcuno - in netto contrasto con quello che è il comportamento a cui sono tenuti i partigiani, tanto che nell'estate il comando della 36a Brigata li riprenderà duramente, intervenendo anche in modo diretto sui responsabili.

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Tutto il rimanente territorio casolano è controllato dalla 36a Brigata «A. Bianconcini» (di cui fanno parte non pochi casolani) come viene denominata la ex IV Brigata che dopo la morte di Lorenzini, caduto in una imboscata tedesca, è comandata dal giovane operaio imolese Luigi Tinti (Bob). La 36a opera nella zona casolana con alcuni GAP, mentre a Mon­te Pianaccino, sopra Mercatale, ha distaccato un posto di blocco col compito di costituire la base di appoggio per l'invio delle giovani reclute partigiane alla brigata.
Questa elencazione - che abbiamo proposto per offrire ai lettori un primo quadro di riferimento  - definisce in modo un po’ schematico la consistenza e l’ articolazione delle forze partigiane operanti nel territorio casolano, mentre in realtà i contorni sono molto meno netti, a volte addirittura sconosciuti agli stessi partigiani che non sanno di far parte di questa o quella formazione. Esempio di questa intersecazione di rag­gruppamenti e di zone operative è il comportamento della fitta rete di staffette che copre il territorio svolgendo compiti di assistenza e di colla­borazione verso tutte le formazioni partigiane che li richiedono, a volte passando oltre le rivendicazioni di competenza che si verificano tra i di­versi comandi. Le staffette che tra l'altro hanno il compito di sorvegliare le mosse del nemico, di realizzare le comunicazioni tra le centrali della pianura e le formazioni partigiane della montagna, di chiedere l'intervento del medico e così via, sono in prevalenza donne, vecchi, invalidi e qualche volta anche parroci; individui cioè che possono muoversi senza dare troppo nell'occhio e che hanno scelto questa attività con un atto volontario in quanto - chi più chi meno -. potrebbero restarsene al sicuro nelle loro abitazioni. Ma è proprio la presenza di queste persone, ma sarebbe forse più esatto dire di tutta la popolazione contadina - poiché in un modo o nell'altro quasi tutti si sentono impegnati nella lotta partigiana - che conferisce alla Resistenza il suo aspetto di lotta spontanea di massa, di lotta di popolo. In questo periodo si costituisce formalmente il CLN di Casola di cui fanno parte i socialisti Guido Ricciardelli, Evaristo Visani, Giuseppe Pittàno; i comunisti Filippo Pirazzoli, Gildo Tabanelli, Antonio Bambi e Antonio Benericetti; il veterinario Ferruccio Cicognani, un repubblicano che, pur isolatamente, non aveva mai fatto mistero dei suoi orientamenti antifascisti; Antonio Tozzi del Partito d'Azione ed Arturo Poli, socialista indipendente. I compiti che il nuovo organismo si propone sono molteplici: dall' o­pera di convinzione verso i giovani ad entrare nelle formazioni partigia­ne alla sorveglianza delle mosse dei tedeschi e dei fascisti e dei loro collaboratori ed informatori; dalla formazione e organizzazione di nuove leve antifasciste, sia sul piano politico che su quello culturale, alla fornitu­ra di aiuti alimentari ai partigiani e alla popolazione; dalla attivazione di un movimento di appoggio alle brigate partigiane all'assistenza ai bisognosi e agli anziani. A causa però di una serie di difficoltà oggettive ed anche soggettive che cercheremo di analizzare molti di questi impegni rimangono allo stato di intenzione o si realizzano in modo molto limitato, cosicché quasi tutta l'azione del CLN casolano si concentra sull'assistenza sanitaria e alimentare alla popolazione civile, attività questa peraltro molto impor­tante, specialmente nell'autunno del '44 e oltre, e che presenta anche un aspetto politico di segno nettamente positivo considerando che l'amministrazione fascista opera in senso contrario fino al completo abbandono di ogni forma di assistenza alla popolazione, e che quindi il CLN si configura sempre più chiaramente agli occhi dell'opinione pubblica come l'unico reale organo di potere locale. In questa sua attività il CLN trova un valido aiuto nell'opera del dott. Gaspare Cenni (Dottor Rino), la cui collaborazione nasce sia da un profondo amore per la sua professione, sia da saldi sentimenti umanitari, derivanti anche da una fede profondamente vissuta - quella stessa che traducendosi in scelte politiche induce molti cattolici (pur privi di collegamenti organici col Partito Democratico Cristiano) a partecipare alle formazioni e agli organismi della Resistenza. I motivi di questa limitata attività del CLN locale e di una sua debole incidenza nella lotta antifascista vera e propria sono dati anzitutto dal suo carattere spontaneistico nel senso che i componenti di questo organismo partecipano ad esso più su un piano individuale che come rappre­sentanti di forze politiche organizzate e più o meno regolarmente tenute a contatto: si spiega così la mancanza di collegamenti con gli altri CLN locali e col CLN provinciale e regionale tanto che le direttive di questi ultimi al CLN casolano verranno date dal comando della 36a Brigata. Ne consegue la grossa difficoltà a contribuire tempestivamente con iniziative organiche allo sviluppo del processo politico collegato all'estendersi e all'intensificarsi della lotta armata. Un altro limite è costituito dal fatto che tutti i membri del CLN sono abitanti del paese, senza dunque saldi agganci con quel mondo contadi­no che è invece supporto indispensabile della lotta di liberazione. Essi sono inoltre facile bersaglio della occhiuta vigilanza fascista che ormai viene esercitata solo nell'ambito del paese poiché i repubblichini non osano più avventurarsi nelle campagne e che rende difficili e saltuari i contatti tra gli stessi componenti del CLN, qualcuno dei quali eccede forse nelle pur necessarie misure di cautela cospirativa. Tutto ciò concorre ad indebolire fortemente l'iniziativa politica e la presenza organizzativa del CLN di Casola, anche se i compiti che esso si era prefisso collegialmente verranno poi svolti da qualcuno dei suoi membri sul piano individuale, ma naturalmente con risultati molto meno rilevanti di quelli che avrebbero potuto conseguire un organismo al cui interno operassero in modo organico ed unitario tutte le forze politiche antifasciste.

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