I partigiani furono decisivi al fine della liberazione dell’Italia di Massimo Isola


La storia italiana dell’inverno del 1944, con la breccia nella linea gotica da parte delle truppe partigiane e delle forze alleate, trova oggi nuovi spunti critici. Spunti di straordinaria importanza considerando la fonte delle valutazioni di merito. Nel mese di luglio, nelle colonne del "The Blue Devil", organo della associazione dei reduci dell’88° Divisione di Fanteria degli Usa, viene pubblicato un testo dal titolo "L’Oss e i partigiani italiani nella II Guerra Mondiale".

Si tratta del periodico della divisione americana che combattè nell’Appennino tosco emiliano, al fianco della 36° Brigata Garibaldi, ed il testo, qui riprodotto in forma sintetica, trova piena elaborazione all’interno del sito internet della CIA, dei servizi segreti americani. 
Elemento significativo quindi, reso ancora più incidente dal contenuto delle affermazioni. Questo è l’incipit: "Si è negato per molto tempo che vi sia stato un contributo dei partigiani antifascisti italiani nella 2° Guerra Mondiale. Questi patrioti tennero ben sette divisioni tedesche fuori dai confini. Ottennero inoltre la resa di due intere divisioni tedesche.. Queste azioni bloccarono l’esercito tedesco e lo portarono alla completa disfatta".
La firma, l’autore del lungo articolo, 17 cartelle nell’edizione on – line, è un americano. Si tratta di Peter Tompkins, classe 1919, corrispondente in Italia per il "New York Herald Tribune" durante il conflitto bellico, autore di diversi testi storici, esperto e collaboratore della OSS (servizi segreti americani prima della nascita della CIA), sulla cui attività ha pubblicato due libri.

L’elemento di grande novità è che nel testo, sulla scia dell’incipit, si afferma, con argomentazioni, testimonianze e documentazioni, dell’essenziale contributo partigiano al fine della Liberazione dell’Italia. Considerando la fonte, si tratta di una posizione importante. L’intero testo racconta delle intersezioni tra l’azione partigiana e quella alleata, emergono i contatti, diffusi e costanti, tra le truppe, lo scambio delle informazioni, decisamente costruttive. Parte centrale dell’articolo è la questione di Monte Battaglia. Quella cima che il Colonnello G.C. Star nella sua storia della Quinta Armata ha definito "la più importante sulla fila di colline che bloccava la strada per Imola". 

Monte Battaglia rappresenta per Tompkins una delle realtà più significative, nella quale l’azione partigiana e alleata trovarono intese e collaborazioni costruttive. Addirittura cita l’uccisione di un maggiore tedesco da parte di truppe partigiane, nella cui valigetta c’era il piano di difesa nazista lungo la linea gotica, divenuto, una volta messo a disposizione dell’OSS a Siena, centrale per lo sfondamento verso la pianura padana. Nel testo scorrono così eventi, informazioni e azioni che animarono il conflitto italiano dopo l’agosto del 1944, liberata Firenze, lungo le sofferte linee appenniniche, quindi verso le città del Nord.

Ma Monte Battaglia trova ampia narrazione e nuovo materiale critico, che si riallaccia ad un intenso capitolo del suo "L’altra resistenza", Rizzoli, datato 1995, nel quale torna con precisione sulla vetta romagnola, descritta con minuzioso approccio storico. Emergono così le incertezze alleate seguite al Proclama Alexander e alla volontà, bocciata dai resistenti, di sfondare solo nella primavera del 1945; emergono le azioni di guerriglia, di contrasto mirato e costante delle brigate garibaldine, che trovano l’apice nella battaglia sulla cima, la conquista di Monte Carnevale, poi della vetta con il Torione dopo giornate drammatiche, sotto le piogge, le bombe, i morti. 
Grande attenzione verso la capacità di Bob e di Carlo Nicoli, le menti delle operazioni di guerriglia, e verso l’incidenza concreta dell’azione, sia di contrasto fisico verso i tedeschi, sia di recupero di materiale e documentazione strategico, utile agli OSS e al generale Clark, per impostare l’offensiva definitiva. 

C’è spazio poi per due ravennati, Mino Farneti e Ennio Tassinari (il quale nascose nella suola delle scarpe il documento in cui i tedeschi sintetizzavano la loro tattica di difesa), determinanti nel filtro tra impeto partigiano e concretezza americana. Il testo quindi si inserisce nella complessa vicenda storiografica circa il rapporto tra esercito americano e truppe partigiane, vicenda che non ha trovato ancora chiara definizione. Certo, come ha sintetizzato Federico Chabod, gli alleati "preferivano che le bande non fossero troppo numerose, che limitassero la loro attività a forme di sabotaggio, anzichè svolgere un’azione militare di massa di considerevole importanza". 

Da questo incomprensioni e occasioni mancate, nel timore che i partigiani, specie quelli comunisti garibaldini, emulassero le conquiste balcaniche e greche, sostituendo la moderazione alleata con pretese rivoluzionarie. Questo testo non dimentica queste fondamentali variabili, ma apre una finestra importante, nella continua lettura di quell’ inverno del 1944, destinata ad alimentare con nuovi contributi il complesso approccio storiografico verso quella fetta di storia così importante nel novecento italiano, che è passata, ed è oggi ancora viva, anche nelle pendici di Monte Battaglia. Massimo Isola (Settesere novembre 2001)