Sostegno operativo e di Intelligence per la resistenza antinazista. L’OSS e i partigiani italiani nella seconda guerra mondiale di Peter Tompkins



Il contributo dei partigiani antifascisti italiani alla campagna in Italia durante la seconda guerra mondiale è stata a lungo trascurata. Questi patrioti tennero lontani dalla linea del fronte qualcosa come sette divisioni tedesche. Ottennero pure la resa di due intere divisioni tedesche, cosa che portò direttamente al crollo delle forze tedesche a Genova, Torino e Milano e nelle zone circostanti.

Queste azioni costrinsero l’esercito tedesco alla resa ed alla sua completa distruzione. Nell’Italia del nord le brigate partigiane in montagna e gruppi d’azione clandestini in città liberarono tutte le grandi città prima dell’arrivo delle unità di combattimento della 15a Armata, un misto di divisioni americane, britanniche, francesi e del Commonwealth, a cui si era aggiunto un gruppetto di monarchici italiani. 

Il successo dei partigiani fu in gran parte merito delle armi e dei rifornimenti paracadutati dal SOE (British Special Operations Executive) e dall’OSS e dell’efficacia della rete di spionaggio messa in atto dagli uomini della Resistenza in contatto costante via radio col quartier generale della 15a Armata.  L’intercettazione dei segnali tedeschi e la decodifica fatta dall’ULTRA a Bletchley Park in Inghilterra furono molto importanti nell’assicurare la vittoria finale, e tuttavia si è sempre dato poco riconoscimento alla gran mole di informazioni dettagliate raccolte e rapidamente trasmesse dagli informatori partigiani in Italia. Strategicamente l’ULTRA è stata probabilmente risolutiva, ma tatticamente le sue informazioni arrivavano molto più lentamente là dove ce n’era bisogno rispetto alle segnalazioni degli agenti segreti..

Durante le battaglie cruciali di Anzio a gennaio e febbraio 1944, ad esempio, le segnalazioni ufficiali dell’ULTRA che informavano sui piani di Hitler e sugli attacchi del feldmaresciallo Albert Kesselring sarebbero arrivate al quartier generale degli Alleati a Caserta addirittura tre giorni dopo che gli attacchi si erano verificati.. Invece  informazioni molto precise, raccolte dai partigiani proprio nel quartier generale stesso di Kesselring, furono inviate via radio anche cinque volte al giorno dalla radio OSS segreta di Roma e ricevute contemporaneamente a Caserta e presso le teste di ponte in tempo per respingere quegli attacchi. 

Dopo la liberazione di Roma, quando Kesselring si ritirò sulle linee di difesa in montagna lungo l’Appennino da Carrara, sul Tirreno, a Rimini, sull’Adriatico - barriera nota come Linea Gotica - le attività di spionaggio divennero una priorità per il Generale Sir Harold Alexander che si preparava a lanciare un attacco a quelle linee di difesa. Il Generale Mark Clark, la cui 5a Armata avrebbe avuto il compito di sfondare nelle roccaforti di Kesselring, spinse i partigiani operanti più a nord ad incrementare le loro attività. Per organizzare queste operazioni, l’OSS fece infiltrare agenti partigiani italiani dietro le linee tedesche. Li portavano coi sottomarini e li facevano sbarcare alla foce del Po sull’Adriatico. 
Un agente, il ventenne Mino Farneti, installò una radio segreta ai piedi degli Appennini a sud di Ravenna, la sua città natale. Da lì organizzava lanci di armi alle postazioni in montagna di gruppi crescenti di partigiani, consentendo loro di attaccare i tedeschi da dietro le loro linee ed anche a Ravenna e in altre città della bassa.

ITALIA 1944 (U) La Linea Gotica

Mentre Alexander si preparava a lanciare il suo attacco più grosso, nel settembre del 1944, il suo G2 cercava disperatamente informazioni segrete dettagliate sulla Linea Gotica. Un collega di Farneti, che era già riuscito a proteggere e far passare di soppiatto attraverso le linee di combattimento cinque ufficiali alleati catturati dai tedeschi, riuscì ad ottenere informazioni fondamentali. Indagando dietro la Linea Gotica, i suoi uomini intercettarono e uccisero un maggiore tedesco che viaggiava con un sidecar; la valigetta del maggiore conteneva un set completo di piani per la parte più a est delle difese della Linea Gotica. 
Per far sì che i piani giungessero agli alleati, un altro agente li portò a Milano, da dove furono inoltrati a mezzo corriere ad Allen Dulles, capo dell’OSS in Svizzera.
Nel frattempo un altro giovane agente dell’OSS, Ennio Tassinari, fu informato che dei partigiani di Lucca, vicino al Tirreno, erano riusciti ad avere un set complementare di piani relativi alla parte ovest della Linea Gotica. Lui stesso riuscì a far avere all’OSS di Siena una copia dei piani nascondendola dentro le suole delle scarpe. 
Da lì i piani furono velocemente consegnati al G-2 del Generale Clark. I piani mostravano che il punto più debole nelle difese di Kesselring era al passo del Giogo, alla congiunzione della 10a e 14a Armata. Clark perciò spostò l’attacco principale del suo 2° corpo verso est nell’area indicata dallo spionaggio partigiano. Se Clark avesse sfondato ai piedi delle montagne sarebbe stato in grado di intrappolare e distruggere le forze di Kesselring tagliando la Statale 9 nella pianura fra Bologna e Milano.
Il 17 settembre il 2° corpo sfondò la Linea Gotica, causando la ritirata di tutta la linea tedesca. In seguito Clark mandò avanti la sua 88a Divisione di Fanteria, considerata la miglior divisione americana in Italia. I comandanti alleati erano sicuri che la 5a Armata avrebbe ben presto invaso la valle del Po, dove la 8a Armata del generale Sir Oliver Leese, che attaccava dall’Adriatico, era in grado di far retrocedere oltre Bologna tutta la 10a Armata tedesca.

Gli attacchi partigiani

All’alba del 21 settembre i reggimenti US 350° e 351° stavano avanzando su per gli stretti sentieri di montagna fra nebbia e pioggia intermittente per attaccare il monte Battaglia, l’ultimo ostacolo. Più avanti, dietro le linee tedesche, la 36a Brigata Garibaldi, armata da numerosi lanci dell’OSS, era diventata un gruppo disciplinato di 1200 uomini comandati da un luogotenente d’artiglieria col nome di battaglia di Bob, ben noto per il suo coraggio, l’astuzia, e i pantaloni corti rossi che indossava sempre in battaglia. Grazie al coraggio e all’audacia dei partigiani nell’area immediatamente dietro la prima linea tedesca sull’Appennino, le unità tedesche non potevano muoversi liberamente senza pericolo. L’ufficiale dello spionaggio di Kesselring riferì che fra giugno e agosto i partigiani avevano ucciso 5.000 Tedeschi e ne avevano ferito da 25.000 a 30.000.
Bob era deciso ad attaccare i Tedeschi sul Monte Battaglia, l’area più sensibile, dove la 4a Divisione Paracadutisti di Kesselring era l’unica a bloccare la 5a Armata. La notte del 25 settembre, 400 partigiani raggiunsero Monte Battaglia proprio mentre i Tedeschi cominciavano a fortificarlo. Un numero imprecisato di Tedeschi venne ucciso e gli altri si diedero alla fuga giù per la montagna. 

Per liberare la strada di Monte Battaglia per gli Americani, i partigiani si accorsero che dovevano prima rimuovere i Tedeschi dal vicino Monte Carnevale. I partigiani finirono sotto un pesante tiro di mortai e mitragliatrici dei Tedeschi in ritirata e dell’artiglieria Americana che proteggeva le sue truppe in avanzamento, senza accorgersi che i partigiani avevano già liberato Monte Battaglia. Pressati lungo la cresta del Carnevale, i Tedeschi, fra due fuochi, compresero la loro situazione e fuggirono.

Il tentativo di Kesselring di riconquistare Monte Battaglia fallì e Clark ora poté spingersi giù per la Valle del Santerno. Gli storici della 5a Armata ritengono che se il generale Clark avesse deciso di immettere forze fresche per rinforzare l’attacco e sfondare su Imola e la Statale 9, avrebbe potuto seriamente minacciare i Tedeschi. Ma Clark temeva che la stretta strada di fondovalle che serpeggiava lungo il fiume Santerno fino a Imola non avrebbe sopportato più di una divisione alla volta. Secondo gli storici, Clark non si rese conto che “il comando tedesco non era in grado di fornire altre truppe e quelle che avevano combattuto erano prossime al collasso.”
Kesselring approfittò dell’inatteso ritardo per rinforzare il suo fronte, eliminando così ogni possibilità di sfondamento alleato. Lanciò così un attacco totale contro le formazioni partigiane che gli avevano inflitto perdite. Le sue rappresaglie contro la popolazione civile furono fra le più brutali della 2a guerra mondiale.

Offensiva in stallo

Sul fronte Adriatico, proprio quando l’8a armata di Leese stava per realizzare uno sfondamento analogo, Leese commise un errore di valutazione disastroso quanto quello di Clark. Il crinale di San Fortunato, l’ultimo crinale a protezione dell’estrema difesa tedesca prima della pianura del Po- la Linea Rimini – sorgeva a sud-ovest della città di Rimini. 

Il generale tedesco Herr, che difendeva la Linea Rimini, non vedeva altra soluzione che il ritiro. Ma Kesselring ordinò a Herr di tenere la posizione. Una brigata della 1a Divisione Corazzata Inglese, seguendo una tattica da manuale che prevedeva di difendere questo fianco, si allontanò dai tedeschi in difficoltà e si diresse verso il crinale San Fortunato, ben difeso, dove incappò in un fitto fuoco antitank.
In breve tempo 24 Sherman furono eliminati e vennero uccisi o feriti 64 uomini d’equipaggio. Ancora una volta Kesselring si salvò, mentre una serie di temporali trasformavano tutta l’area fra Rimini e Bologna in un pantano impraticabile. Dalle montagne i torrenti scorrevano impetuosamente a valle e travolgevano ponti e strade. La fanteria e i reparti corazzati di Leese in pianura si impantanarono in un mare di fango. D’accordo con Alexander, Clark e Leese decisero di sospendere l’offensiva verso Bologna fino alla primavera.

La liberazione di Ravenna

La liberazione di Ravenna è l’esempio più classico di cooperazione fra truppe regolari e ausiliari partigiani. Per tenere questa antica città. Famosa per i suoi tesori di arte bizantina, i tedeschi avevano formato, lungo i suoi due fiumi, linee di difesa composte da tre divisioni di fanteria  appoggiate da tank e pezzi d’artiglieria da 88mm. Ciò significava che se, come erano soliti fare, gli alleati avessero bombardato dal cielo, dal mare o da terra prima di attaccare con uomini e tank, avrebbero distrutto gran parte dell’incomparabile arte della città.
Nel frattempo Mino Farneti, il cui radio operatore era stato preso e fucilato, ricevette, 10 miglia  a nord di Ravenna., un nuovo lancio con due radio, un nuovo operatore e un grosso quantitativo di armi per la 28a Brigata Garibaldi. Questa grintosa  unità era comandata da un brillante partigiano con l’assurdo nome in codice di Bulow. 

Questi aveva inviato un messaggio da una radio clandestina OSS ad un OSS del quartier generale dell’8a Armata a Cattolica, col quale suggeriva un modo per salvare Ravenna.
Una mossa così impudente da parte di un comandante partigiano forse non sarebbe stata presa in considerazione se con l’8a Armata non ci fosse stato il Col. Wladimir Peniakoff, il temerario comandante dell’unità speciale chiamata l’Armata Privata di Popski, un gruppo altamente selezionato di commandos usati per  i raid dietro le linee tedesche.
Nel corso di molti raid a nord di Ravenna le forze di Popski erano state molto aiutate da Bulow e dai suoi uomini, e così lui ne parlò bene.  Incuriositi, i Canadesi mandarono un sottomarino a prelevare Bulow per discutere la proposta, ma Bulow, che non voleva aspettare. Prese la sua barca e portò con sé due piloti di aerei americani abbattuti dai tedeschi, qualche pistola e un grosso barile di vino. In una notte senza luna 12 pescatori remarono per 30 miglia lungo la costa e li portarono al comando canadese di Cervia. 
Il Colonnello Thiele dell’OSS fu sorpreso di vedere in Bulow un magrissimo tenente poco più che ventenne, figlio di contadini romagnoli. Thiele tuttavia spedì lo sbarbatello al quartier generale dell’8a Armata, dove il piano di Bulow per salvare Ravenna venne tracciato sulle mappe operative in modo così professionale che lo fecero subito conferire con i responsabili del personale e delle operazioni e col nuovo comandante generale Sir Richard McCreery.
Bulow ipotizzava un attacco a sorpresa dei suoi partigiani alle spalle di Ravenna mentre il suo distaccamento Garavini guidava un attacco alleato da sud e i corsari di Popski entravano da est. Altri partigiani avrebbero attaccato attraverso la pianura a nord di Ravenna. Nel frattempo gruppi di civili guidati da gruppi d’azione clandestina, nelle città vicine,  avrebbero infastidito il fianco dei tedeschi lungo la loro unica via di fuga.  McCreery approvò il piano. 

Due giorni dopo Bulow era di nuovo coi suoi “ranocchi” fra le paludi a Nord di Ravenna accompagnato da un osservatore ufficiale dell’8a Armata, il capitano Healy, canadese.
Il 29 novembre Bulow divise le sue forze in tre sezioni e, di notte,  cominciò a muoverle secondo percorsi prestabiliti lungo i quali i contadini tenevano i cani al chiuso e le porte aperte in caso fosse necessario per i partigiani trovare rifugio. Il piano di Bulow prevedeva che 650 partigiani si concentrassero nella valle a nord di Ravenna e altri 1200 vicino al fiume Reno, sostenuti da squadre d’azione locali da Alfonsine e Ravenna  armate dall’OSS. Il 3 dicembre l’8a Armata trasmise per radio un altro messaggio per informare Bulow di un altro lancio quella notte stessa.  

Il messaggio successivo che Bulow ricevette dalla radio OSS era semplice ed esplicito: “Attaccate. Buona fortuna!” Alle 3 del mattino del 4 dicembre 823 partigiani della 28a Brigata Garibaldi, armati di un cannone antitank da 47 mm, 4 mortai, e una dozzina di mitragliatori pesanti, si misero in marcia lungo sentieri sabbiosi verso le loro posizioni di combattimento, col compito di attaccare 2.500 tedeschi nascosti in bunker di cemento, protetti dai tank e dall’artiglieria. Alle 5.30 del mattino gli uomini di Bulow presero il nemico di sorpresa. Per tutta l’area a nord di Ravenna diverse unità partigiane presero di mira alcune postazioni tedesche, molte delle quali, vistesi circondate, si arresero.
I tedeschi a Ravenna fecero uscire delle truppe dalla città per contrattaccare in modo più deciso. 

A quel punto il 12° Lancieri Reali Canadesi, guidato da un distaccamento di Bulow, entrò in città  da sud mentre i pirati di Popski  irrompevano da est e i tedeschi scappavano. Fatta eccezione per un pezzo di acquedotto saltato in aria, la città era intatta.
Alle 4.30 del pomeriggio la radio OSS riuscì a mandare un messaggio succinto ”Soldati britannici a Ravenna. Saluti a tutti”

I tedeschi, come intuito da Bulow, evacuavano lungo la statale per Ferrara, e venivano “massaggiati” ai fianchi dai “guerrieri felici” di Bulow. Dall’8a Armata Bulow ottenne un permesso ufficiale per la sua brigata di 800 uomini per raggiungere il fronte come unità di combattimento regolare sotto il suo comando, armati ed equipaggiati dagli Alleati.

Due città chiave

A questo punto nell’Italia settentrionale un’altra missione OSS porta avanti un nuovo genere di azione partigiana nelle campagne piemontesi dai piedi delle colline alle Alpi intorno al centro industriale di Torino. Il 17 marzo 1944 una squadra di tre uomini era stata paracadutata sulle Alpi in alto vicino al confine francese. Il comandante, il trentacinquenne Marcello de Leva, era figlio di un ammiraglio italiano e pronipote del poeta Shelley. 
Il suo numero due, Riccardo Vanzetti, come de Leva, aveva prestato servizio in aeronautica come ingegnere. Il terzo uomo, un giovane radio-operatore, era un meridionale mai stato in Piemonte prima e si trovò in difficoltà con gli sci sui ghiacciai alpini. 
Quando arrivò a Torino alla fine di marzo de Leva si diede da fare per creare una rete spionistica, mentre Vanzetti, rimasto in campagna, installò la radio in un alveare in funzione. Da quell’ improbabile nascondiglio il radio-operatore trasmise in tutta sicurezza fino alla fine della guerra, spesso anche in presenza di tedeschi che si aggiravano per la stessa fattoria da cui lui operava.
Avendo del tempo a disposizione Vanzetti addestrava squadre di sabotatori per disturbare le comunicazioni tedesche in pianura. 

Sviluppò inoltre un nuovo tipo di azione partigiana basata su unità mobili di pianura dapprima munite di biciclette, poi di automobili quindi di autocarri e infine di tank tutti catturati al nemico. Queste agguerrite unità mobili erano sempre all’attacco e ben presto cominciarono ad operare contro i centri di produzione del nemico alla periferia di Torino. 
Vanzetti riusciva a intercettare tutti i lanci OSS che avvenivano in varie parti del territorio e col tempo i suoi compagni partigiani lo designarono a comandare un gruppo di divisioni in preparazione dell’attacco finale a Torino.
Ma prima che ciò si verificasse dovevano maturare gli eventi di Genova. Per favorire la costituzione di un gruppo insurrezionale in quel porto e con funzioni di collegamento via radio clandestina con il gruppo della 15a Armata, un’altra missione OSS  (nome in codice Apple) fu paracadutata nella Val Pellice per farla proseguire verso la Liguria. 
La squadra era composta da un aspirante medico, Cippi, uno studente di medicina, Alfa, un biologo, Minetto, e un radio-operatore, Gardella. Erano tutti di Genova e tutti cattolici praticanti, il ché, alla scuola di addestramento, aveva  procurato loro il nomignolo di “novizi”. Per le operazioni di codifica e decodifica della missione portarono con sé il più giovane agente OSS in servizio, Adriano, il fratello sedicenne di Vanzetti.
Come obiettivi primari dovevano raccogliere informazioni lungo la costa ligure da Genova fino in Francia, contattare il CNL di Genova e coordinare con questo le loro attività e, soprattutto, selezionare i punti esatti per i lanci che servivano ad armare i gruppi di partigiani che si stavano formando sulle colline liguri intorno a Genova.
Il porto, saldamente nelle mani dei Tedeschi, era ben protetto da poderose unità navali, ma, nonostante la presenza di una feroce banda di investigatori del controspionaggio, la città era antifascista. La resistenza in città comunque era un affare pericoloso: uno dopo l’altro i capi del CNL vennero catturati dai fascisti e dalle SS e fucilati o deportati. 

Il solo gruppo munito di radio e in contatto con il SOE fu catturato al completo. Il compito di Minetto fu di ristabilire i contatti coi clandestini e preparare la strada per le operazioni di spionaggio di Cippi. In seguito con un cavallo e un calessino si spostò con la radio e l’operatore per raggiungere il miglior gruppo partigiano sulle colline, la divisione Cicero, riuscendo a far passare bagaglio, armi e radio proprio in mezzo alle unità tedesche i cui uomini, stupiti da quello strano mezzo di trasporto, lo guardarono appena e lo lasciarono passare senza sospetti.

Dato che i partigiani erano ben organizzati ed in buoni rapporti con la gente del posto, Minetto montò la sua radio in un castello in cima a una collina e se ne andò a fare un giro d’ispezione per istruire una rete di informatori partigiani su quali fossero le notizie da raccogliere e su come farle avere rapidamente alla radio. Minetto organizzò anche dei sabotatori, addestrando ed armando due brigate della Divisione Cicero, e rifornendole del materiale (compresi bazooka e mortai da 61 mm) di 135 lanci aerei. Eletto a comandare la brigata Arzani, Minetto ottenne la resa tedesca in una serie di roccaforti, catturando più di 1000 prigionieri, e tenendo i suoi uomini sempre pronti per l’insurrezione generale.

La sollevazione di Genova

A Genova i vecchi compagni di Minetto del CNL avevano preparato politicamente e militarmente la cittadinanza all’insurrezione.  Il generale tedesco che comandava in città, Reinhart Meinhold, temeva i partigiani nonostante le sue due intere divisioni. Informò allora il cardinale Arcivescovo di Genova che se le sue forze fossero state lasciate uscire indenni, avrebbero abbandonato l’area e anche la provincia nel giro di quattro giorni senza provocare distruzioni.
Intanto i Tedeschi avevano piazzato cariche esplosive per tutta Genova e l’area portuale. Tutti i ponti principali e cinque tunnel erano stati minati pesantemente. Gli impianti di acqua ed energia e tutte le industrie principali erano pronti per la demolizione. Navi, moli e gru nel porto erano minati per renderli inservibili.
I capi del CNL non si fecero impressionare dalla minaccia e risposero che non trattavano con gli inaffidabili tedeschi. Decisero invece di portare a termine il piano di insurrezione. Alle 4 del mattino del 23 aprile in città si udirono i primi colpi: poi la rivolta si estese. Alle 10 gli insorti avevano preso il municipio, la centrale del telefono, il quartier generale della polizia e la prigione. 

Altrettanto rapidamente le squadre d’azione clandestine crebbero come funghi da 5.000 a 20.000 uomini e donne, giovani e vecchi, con armi sottratte alle forze fasciste. I Tedeschi continuarono a minacciare pesanti rappresaglie se avessero ottenuto di ritirarsi come proposto, ma la loro situazione peggiorò in fretta.
Squadre d’azione fecero saltare un certo numero di linee elettriche per paralizzare i trasporti ferroviari ad elettricità dalla Liguria al Piemonte. Né i Tedeschi poterono usare treni a vapore dato che da tempo i sabotatori ne avevano rimosso parti essenziali. Impossibilitati a muoversi i Tedeschi si trincerarono usando le armi anti-tank ad alzo zero e attaccando gli studenti.

Vittoria partigiana

Entro le prime ore del mattino del 24 i gruppi partigiani controllavano tutti i villaggi vicini. Le forze fasciste che presidiavano Genova scapparono nella stessa giornata. Molte zone erano state ripulite di Tedeschi, ma questi resistevano, specialmente nei tunnel delle strade principali, armati di tank, artiglieria e mitragliatori pesanti. Tenevano anche tutto il porto con la sua artiglieria pesante. 

Nel frattempo un altro pericolo incombeva sotto forma della 146a Divisione di Fanteria tedesca che si diceva stesse avanzando verso Genova con lo scopo di andare a salvare i commilitoni intrappolati.
Con gli Americani ad ancora più di 100 km e i partigiani che, scendendo a piedi dalle montagne, non erano in grado di raggiungere la città prima della notte del 25, l’una o l’altra delle forze di soccorso doveva arrivare o Genova rischiava di subire lo stesso destino di Varsavia.

I Tedeschi allora annunciarono di aver catturato 20 donne e bambini e minacciarono di ucciderli se non fossero stati lasciati partire liberamente. I comandanti del CNL cittadino risposero che, come rappresaglia, avrebbero a loro volta ucciso i 1000 prigionieri tedeschi già nelle loro mani e giustiziato come criminali di guerra tutti quelli che avessero catturato da quel momento in poi.
Come ultima risorsa il generale Meinhold minacciò di ridurre in macerie la città con l’artiglieria pesante, ma il Cardinale in qualche modo lo convinse a rimandare il bombardamento. Nel frattempo un gruppo di civili, sfidando il fuoco incrociato delle batterie tedesche catturava la stazione radio cittadina per informare il mondo che la città era nelle mani del CNL. 

L’informazione sollevò il morale degli insorti e depresse quello dei tedeschi che a quel punto temevano l’imminente arrivo di formazioni partigiane dalle montagne. Notizie anche peggiori per i Tedeschi vennero quando la loro divisione sulla strada per Genova fu intercettata dai partigiani provenienti dalle montagne, circondata e obbligata ad arrendersi.
Alle 9 della mattina del 26 Meinhold si arrese: per la prima volta nella storia italiana un corpo ben equipaggiato consegnava le armi a dei civili. 

Non tutte le unità Naziste accettarono di ubbidire. Due ufficiali navali dal porto informarono il CNL che si preparavano a bombardare la città e su ordine di Hitler avevano condannato Meihold a morte.
A quel punto dalle montagne le prime unità partigiane marciarono sulla città. Insieme ai cittadini di Genova lanciarono l’attacco finale contro i Tedeschi costringendoli alla resa. La notte del 26 aprile quando quelli della 92a Divisione americana arrivarono rimasero sbigottiti nel vedere ciò che i partigiani erano riusciti a fare.
Le due Divisioni armate tedesche che dalla Liguria sarebbero dovute arretrare sul Po per difendere Torino e Milano erano state neutralizzate al prezzo di 300 partigiani morti e 3000 feriti, Le forze tedesche in Piemonte così si trovarono isolate ed esposte agli attacchi delle formazioni partigiane del luogo, arrivate per l’attacco finale.

La riconquista di Torino

A Torino de Leva fece spostare la radio clandestina ed il suo operatore dall’alveare campestre a un appartamento ben arredato per essere in contatto costante con gli alleati che avanzavano. I Tedeschi avevano programmato di distruggere i trasformatori, la centrale telefonica, la stazione radio e le industrie più importanti. Un battaglione di 700 genieri, specializzati in demolizioni erano stati inviati da Hitler a Torino. Il 20 aprile il CNL di Torino ordinò uno sciopero generale. La notte del 25-26 aprile squadre di civili e lavoratori insieme attaccarono i Tedeschi. Nel giro di due ore le unità mobili di Vanzetti, coi tank strappati ai tedeschi, entrarono in città e combatterono strada per strada e casa per casa.. Entro la notte del 28 aprile quasi tutta Torino era libera e i Tedeschi si erano ritirati sulle colline vicine, in attesa di arrendersi agli alleati.

Successi Alleati

Alexander, che aveva atteso a lungo che il sole asciugasse la valle del Po, lanciò infine la sua offensiva di primavera, con Clark al comando di un gruppo della 15a Armata riaddestrato e rimesso a nuovo. Dal Tirreno all’Adriatico attraverso l’aspra dorsale appenninica 21 divisioni alleate affrontarono le 25 Divisioni tedesche del Corpo d’Armata “C” di Kesselring, forse la migliore unità di combattimento rimasta nell’esercito tedesco, sostenuta da 5 mediocri divisioni fasciste.

La 5a Armata scese dall’Appennino verso Bologna, mentre l’8a Armata pressava il nemico nella pianura a nord-ovest di Ravenna. L’obiettivo era un attacco a tenaglia alla 10a Armata tedesca che avrebbe distrutto il gruppo “C” prima che potesse ritirarsi a nord nelle Alpi. Per evitarlo era necessaria la collaborazione di unità partigiane dal Piemonte alle Alpi.

La notte del 15 aprile, preceduta da 75.000 scariche di artiglieria sparate in 30 minuti, sul fronte di
Clark, il 2° corpo del Luogotenente generale G. Keyes avanzò su un terreno pesantemente minato e
ben difeso dirigendosi verso Bologna.
A Bologna i partigiani pronti ad insorgere erano in difficoltà per la perdita della loro radio clandestina, l’esecuzione del loro comandante in capo e la cattura dell’ufficiale di collegamento che gli alleati avevano fatto passare per metterli in allerta.

Non avevano avuto altro che un messaggio speciale della BBC: “Ci saranno gare domani all’ippodromo”. Pertanto insorsero di loro iniziativa il 19 aprile col risultato di 1300 Tedeschi uccisi o catturati e il salvataggio delle reti elettriche, dell’acqua e del gas. 
Il 21 aprile due divisioni della 5a Armata raggiunsero le porte della città da ovest mentre forze polacche dell8a Armata entravano da est.
Con le linee tedesche rotte a sud del Po le due armate alleate cercarono di circondare il maggior numero possibile di unità prima che il Luogotenente Generale Von Vietinghoff potesse ritirarle a nord del fiume stesso. 

Von Vietinghoff aveva ereditato il Corpo d’Armata “C” da Kesselring dopo la sua chiamata sul fronte occidentale per tentare di arrestare l’avanzata di Eisenhower.
Quel giorno nell’Italia del nord tutti i  lavoratori delle ferrovie scesero in sciopero, paralizzando il sistema ferroviario. Il giorno dopo, al mattino presto, tutti i rifornimenti ed equipaggiamenti militari sui treni tedeschi furono catturati e rivolti contro il nemico.

Una sequenza di vittorie

A Milano il CNL ordinò l’insurrezione generale per tutta l’Italia del Nord. Squadre di partigiani e d’azione raddoppiarono gli attacchi contro le unità nemiche intrappolate o in fuga, costringendole a combattere o arrendersi. 
Per tutta la pianura battaglioni di partigiani catturavano ed eliminavano gruppi sempre più numerosi di tedeschi, prevenendo la distruzione di ponti vitali per gli Alleati. Ben presto tutte le grandi città della valle furono in mani alleate, liberate dai partigiani. La parte principale dell’8a Armata avanzava su Venezia e Trieste.

Il 27 aprile il comando tedesco a Venezia inviò un ultimatum al CNL locale in cui minacciava la distruzione delle principali installazioni della città se i partigiani non avessero consentito il ritiro dei 2300 uomini delle guarnigioni tedesche e di 1800 fascisti. 
Tale distruzione fu evitata grazie all’operazione OSS  “Margot”, che aveva ricevuto 23 lanci andati a segno e coi quali furono armati ed equipaggiati i partigiani veneziani. Sempre il 27 aprile, il capo dell’operazione, coi suoi 4500 partigiani radunati nella zona, minacciò di annientare i Tedeschi e i fascisti se questi non avessero abbandonato i loro piani di distruzione. Il risultato fu che i Tedeschi si arresero lasciando la città e il porto intatti.

Il momento di Milano, sede del CNL dell’Italia del nord, venne quando la Divisione corazzata US si avvicinò alla capitale lombarda. Il capo della squadra OSS di Milano, Enzo Boeri, era stato per alcuni mesi il collegamento fra il comando partigiano e il gruppo della 15a Armata ed aveva trasmesso un enorme quantità di informazioni, ricevuto istruzioni e passato messaggi alle unità partigiane in montagna. 
Poco prima dell’alba del 25 aprile dal CNL di Milano arrivò l’ordine di entrare in azione. I Tedeschi si erano chiusi in trappola da soli occupando soprattutto il centro economico e residenziale che erano completamente circondati da quartieri operai con raccaforti nodali. A mezzogiorno i Tedeschi erano già bloccati. 

Ovunque i fascisti cercavano di scappare per mettersi in salvo. Nel pomeriggio unità di polizia del CNL  pattugliavano la città mentre i Comitati di Giustizia si riunivano per offrire una continuità nelle procedure giudiziarie. La situazione per i Tedeschi si stava facendo critica. 
Il pomeriggio del 25 aprile il Console Generale tedesco informò il CNL che, se si fosse consentito alle forze tedesche di lasciare Milano e tutta la Lombardia sani e salvi, da parte loro non avrebbero causato danni. Il CNL richiese la consegna delle armi da parte dei Tedeschi.

Arriva Mussolini

Lo stesso pomeriggio Mussolini, arrivato da due settimane dal quartier generale di Salò insieme ai suoi seguaci, si presentò presso la residenza del cardinale di Milano Schuster. 
Era accompagnato dal Maresciallo Rodolfo Graziani, comandante di tutte le forze fasciste, sperando di negoziare qualche forma di accordo. Marazza, un avvocato emissario del CNL, disse a Mussolini che sarebbe stata accettata solo la resa incondizionata. 
Graziani fece notare a Mussolini che negoziare voleva dire tradire i Tedeschi. Marazza, sorridendo, chiese se Mussolini fosse all’oscuro delle trattative segrete portate avanti dal generale delle SS Karl Wolff con Allen Dulles in Svizzera. Sorpreso Mussolini mormorò rabbiosamente: “Ci hanno sempre trattato da schiavi. Ora mi riprendo la mia libertà d'azione.”

Sebbene la città fosse saldamente nelle mani dei partigiani, la situazione per il comando partigiano restava potenzialmente critica. Se i Tedeschi fossero usciti dalle loro roccaforti, avrebbero ancora potuto sopraffare i loro oppositori  grazie ad una potenza di fuoco superiore.
Il comando partigiano non capiva perché il comandante delle brigate comuniste sulle montagne a nord-est di Milano non fosse ancora arrivato alle porte della città con le sue divisioni,  ben armate da lanci OSS. 
Alcuni mesi prima, un’operazione OSS composta da un ingegnere dell’aeronautica italiana, Luigi Vestri, accompagnato dalla sua fidanzata e da un radio-operatore, era stato accettato da un noto capo partigiano comunista, Vincenzo Moscatelli, comandante di tutte le Brigate Garibaldi del nord. 

Insieme avevano organizzato una vasta rete di servizi segreti. Svilupparono anche un sistema sicuro per ricevere lanci senza perdere una sola arma dirigendo verso il cielo il fascio di luce, prodotto da fari d’auto alimentati a batteria, e visibile solo dall’alto. 
Due delle brigate di Moscatelli si misero in marcia per Milano, ma incontrarono forze tedesche pesantemente corazzate che stavano cercando di ritirarsi verso il confine. 
Entro il pomeriggio del 25 aprile erano riusciti a sconfiggerli ma erano ancora lontani da Milano proprio mentre Mussolini, offeso per essere stato abbandonato dai Tedeschi, si stava dirigendo in incognito verso la frontiera svizzera. 

Giocando la sua ultima carta Mussolini si era aggregato, insieme alla sua fidanzata, Claretta Petacci, ad un convoglio di 30 autocarri delle SS protetti da autoblinda dirette al Passo del Brennero. Fermati da un blocco stradale di Moscatelli, vicino alla città lacustre di Dongo, Mussolini fu scoperto e giustiziato con la sua fidanzata dietro ordine unanime dell’alto comando partigiano.

Finisce la battaglia

IL 28 aprile, dopo aver neutralizzato molte migliaia di Tedeschi, Moscatelli raggiunse Milano alla testa di 2000 uomini ben armati, a bordo di autocarri, e protetti da tank e autoblinda tutti catturati ai Tedeschi. Il comandante partigiano, che sarebbe diventato il primo ministro della difesa dell’Italia liberata, sfilò per le vie della città e fu accolto dall’alto comando partigiano.

La mattina stessa Piacenza, l’ultima grande città controllata dai Tedeschi nella zona a sud del Po, fu conquistata dai partigiani. Il 29 aprile l’intera 232a Divisione tedesca, di 6000 uomini, fu catturata, compreso il suo comandante generale e il suo staff. Le forze alleate entrarono a Milano il 29 aprile, il giorno in cui Hitler si uccideva a Berlino, nel suo bunker.

Il 2 maggio, a mezzogiorno, le ostilità in Italia cessarono ufficialmente, con la dichiarazione di Alexander che quasi un milione di Tedeschi si erano arresi con tutti i loro equipaggiamenti ed accessori. Nello stesso giorno a Berlino la guarnigione deponeva le armi e la capitale tedesca passava all’Armata Rossa.
Due giorni dopo il generale von Senger und Etterlin, dopo aver combattuto dalla Sicilia a Bologna, arrivò al quartier generale del generale Clark per firmare la resa incondizionata. Il 4 maggio la battaglia d’Italia era finita.

Peter Tompkins ha prestato servizio nell’OSS e ha passato cinque mesi dietro le linee tedesche in Italia. E’ autore di due libri sulle attività dell’OSS in Italia.

U.S. Central Intelligence Agency, 1999 (Traduzione dall’ inglese a cura della prof.ssa Maria Assunta Matteucci)