NOI RICORDIAMO Un grande e unico girotondo per la libertà

Un grande e unico girotondo per la libertà

Con tutta la classe, venerdì 11 aprile siamo andati a visitare Ca’ di Malanca, una località dove agì la 36ª Brigata Garibaldi, che si era costituita nel marzo del 1944.
In questo periodo, dopo la caduta del fascismo il 25 luglio del 1943 e l’armistizio dell’8 settembre, la parte meridionale d’Italia fu liberata dagli alleati, mentre la Germania occupava il nord Italia. Furono proprio questi avvenimenti a far scatenare la voglia di libertà nella mente della gente, a far sì che aprissero gli occhi su quella nuova terribile realtà, che provocava solo sofferenze e dolori.  Si organizzò così la Resistenza contro l’occupazione tedesca e contro la dittatura. Molti partigiani erano persone che non volevano far parte dell’esercito della Repubblica Sociale Italiana, quindi si rifugiarono sui monti. Nelle vallate intorno a Casola Valsenio c’era la 36ª Brigata Garibaldi; a Ca’ di Malanca c’erano 700 uomini su 1200.
La Resistenza sui monti non avrebbe avuto possibilità di successo se non ci fosse stato l’appoggio delle famiglie che abitavano nei dintorni, che rischiavano la loro vita per aiutare i partigiani. Molto spesso queste persone, se venivano scoperte, rischiavano la fucilazione. Vedevano cadere i loro sogni, in particolare quello di non vivere più nel terrore, all’oscuro di tutto, quello di potere dire la propria opinione, di poter dare ragione alle persone che ritenevano giuste. Questi ideali sostenevano non solo molti combattenti, ma anche le donne che ne condividevano i pericoli.
Mi è rimasto impresso un documento: “Vogliamo ricordare la sofferenza, il sacrificio e l’eroismo della donna durante Resistenza”. La comprensione dei documenti e la riflessione ci deve comunque far superare alcuni pregiudizi: è sbagliato pensare ad esempio che solo il popolo tedesco o i soldati tedeschi siano stati crudeli durante la guerra perché azioni violente sono state compiute anche dagli alleati, si pensi al bombardamento di Dresda o al lancio delle bombe atomiche sul Giappone o ancora ad alcune azioni ingiuste compiute dagli stessi partigiani. La differenza è tra chi combatte per un ideale democratico e chi compie azioni violente in nome di idee totalitarie o per interessi personali e di parte.
Comunque la guerra provoca sempre vittime innocenti, fa cessare i sogni dei bambini che credevano che il mondo fosse tutto rose e fiori, fa svanire le speranze in un mondo migliore e la voglia di correre liberi in mezzo al verde, senza avere un’arma puntata alla schiena.  Ora noi stiamo qui a dire quanto è brutta la guerra, quante sofferenze ha provocato, quanto sia inutile; allora io mi chiedo: “Perché esistono persone con questa mentalità violenta?”.  La violenza sembra essere sempre presente nella storia e nella vita dell’uomo. Ma c’è un rimedio. Il rimedio siamo noi che dobbiamo formare un grande girotondo e dare un forte calcio all’ignoranza, ai pregiudizi, e dire che la guerra non la vogliamo! La voce ce l’abbiamo, dobbiamo imparare a tirarla fuori!
I nazisti, poveri scemi, affermarono che esistono razze superiori. L’unica superiorità deriva dall’istruzione, dalla capacità critica che denuncia la violenza e la guerra.  Un documento significativo è quello del partigiano che scrisse una lettera alla famiglia prima di essere fucilato. Sembra tranquillo e fiero di quello che ha compiuto, pare che voglia lasciare il ricordo dei suoi ideali e del suo coraggio come esempio per le future generazioni. Però io penso anche ai perdenti, a chi era dalla “parte sbagliata”, soprattutto ai loro figli, condannati già prima della nascita.
Non essere considerati bambini, ma figli di bestie, essere costretti a guardare la realtà con occhi diversi, verdi, azzurri, marroni e neri che siano, vedere solo ingiustizie e violenze. Marchiati a volte per un crimine che non hanno commesso, ma che scontano ugualmente.  Questo concetto, la comprensione per tutte le vittime, dobbiamo ricordarlo sempre in ogni circostanza della vita.