I venti anni "neri" - Fascismo e antifascismo


Nell'ottobre del 1922 il re si rifiuta di contrastare il passo alle colonne fasciste che con grande clamore marciano su Roma, ed affida l'incarico di formare il nuovo governo a Benito Mussolini. Il fascismo arriva così al potere, ma per sostenersi ha bisogno ancora sia della violenza, sia dell'appoggio degli altri partiti conservatori che confluiscono poi nel governo. Anche se Mussolini trova in questi partiti dei compiacenti alleati succubi, è sempre la politica della violenza a prevalere, in primo luogo indirizzandosi contro il movimento socialista nelle sue diverse componenti - comunisti, massimalisti, riformisti - ma poi estendendo via via la sua aggressività contro tutti coloro che in qualche modo manifestano la loro avversione alla tirannide che sta prevalendo, compresi quei cattolici che in un primo tempo  condizionati da una ostilità di fondo nei confronti del socialismo - avevano guardato al fascismo con una certa benevolenza o almeno con qualche tolleranza. Si arriverà al punto che i ministri del Partito Popolare, che erano entrati a far parte del primo governo Mussolini, si dimettono nell'aprile 1923. Le leghe contadine gialle locali, legate al Partito Popolare, si sfalda­no senza opporre resistenza, sia per la scarsa coesione, sia per le pressioni che più o meno apertamente vengono esercitate dai possidenti fascisti sui loro mezzadri, sia perché i fascisti - giocando sul distacco già ricordato fra i socialisti del paese e i contadini - assumono demagogicamente un atteggiamento di apparente difesa di questi ultimi contro i primi. Duramente colpiti dai fascisti, perseguitati dalle forze dell'ordine, ricattati dai possidenti che approfittano del loro bisogno, anche molti braccianti e operai casolani abbandonano le leghe, le cooperative, e an­che i partiti antifascisti, i cui capi non possono più offrire loro se non uno stoico esempio di coerenza politica. Per convincere i recalcitranti ci sono inoltre i già collaudati metodi basati sulla violenza: i soci della coo­perativa rossa «Solidarietà e Progresso» che non intendono cedere alle pressioni dei fascisti di passare al loro sindacato, vengono forzatamente riuniti nel teatro comunale e sotto la minaccia delle armi sono costretti a cedere la cooperativa   patrimonio ed organizzazione - ai fascisti in cambio di ricevute che dopo poco si riveleranno senza alcun valore. Il patrimonio, accumulato con tanto lavoro dagli operai, viene poi spartito col tempo e mediante poco chiare operazioni interne tra esponenti fasci­sti e loro fiancheggiatori. Il movimento operaio casolano viene a trovarsi in una posizione particolarmente debole anche a causa della insufficienza di una vera e pro­fonda coscienza di classe, insufficienza dovuta fra l'altro alla situazione occupazionale di Casola dove non esistono posti di lavoro che comporti-no una concentrazione stabile di lavoratori nello stesso luogo per un pe­riodo continuato con la conseguente possibilità di stabilire rapporti più stretti di reciproca solidarietà, una più solida comunanza di interessi e di lotta. Una eccezione a tale proposito è costituita dalle botteghe dei calzolai: qui - e se ne contano in paese una decina - si trovano infatti in ogni bottega fino a 8-10 lavoranti, quasi tutti giovani, seduti a 3-4 attorno a ogni deschetto. Non a caso proprio i calzolai, che vantano alte tradizioni di lotta, costituiranno a Casola la spina dorsale del movimento operaio, del socialismo e del comunismo, poi dell'antifascismo per tutta la durata del regime. Mussolini intanto paga il sostegno fornitogli da agrari ed industriali, anzi il prezzo lo fa pagare al popolo italiano, tanto che all'inizio del 1924, mentre il costo della vita è ancora aumentato, i salari già sono di­minuiti di circa il 15%: e non è che l'inizio! I vecchi patti colonici, sia rossi che bianchi, vengono stracciati e ne vengono stipulati dei nuovi ben più favorevoli agli agrari. Gli uffici di collocamento gestiti dalle amministrazioni comunali ven­gono chiusi e l'assunzione della mano d'opera viene discriminata in base alle istruzioni degli agrari che privilegiano i lavoratori più bravi (cioè più docili e remissivi) e condannano alla disoccupazione e alla fame quelli che ancora non si sono piegati. Viene alleggerita ad esempio l'imposta sul patrimonio e abolita la tassa di successione nell'ambito familiare, abrogata la legge sulla nomi-natività dei titoli azionari; cedute ai privati tutte le linee telefoniche ur­bane e interurbane di minore distanza; abolito il monopolio statale sulle assicurazionivita lasciando così questo campo «grasso» all'iniziativa privata. Il 6 aprile 1924 si svolgono le elezioni politiche in un clima di gravis­sime violenze e di frodi elettorali di ogni genere perpetrate dai fascisti. A Casola Valsenio si registra una certa resistenza elettorale di due dei tre partiti che si richiamano al socialismo - il PCI e il PSI (massimalista) - anzi, i comunisti aumentano i loro voti rispetto alle elezioni del 1921, seppure costretti ad operare nella semiclandestinità. È il frutto dell'atteggiamento dei dirigenti locali e nazionali dei due partiti, fermo e alieno da ogni compiacenza o tolleranza nei confronti della violenza ne­ra. Un atteggiamento che invece, per un grave errore di analisi politica, era stato assunto da non pochi esponenti del PPI e del Partito Repubbli­cano, partiti che registrano un vero e proprio tracollo elettorale. Continuano le violenze - che trovano quasi il loro tragico simbolo nell'assassinio dell' On. Giacomo Matteotti - e la persecuzione contro comunisti e socialisti è divenuta ormai un fatto normale. Bastonature e galera toccano ad Aurelio ed Aronne Acerbi, a Giuseppe Bambi (Beppino 'd Magnozz), Ivo Pittano, Giovanni Chapuis, ai fratelli Antonio, Giuseppe, Ferdinando Farina, (Lilì), Luigi Bianchi (Bianchi zòpp). L' On. Giulio Cavina, un casolano che era stato chiamato a dirigere la Camera del Lavoro di Siena (per difendere la quale da un assalto fascista era stato bastonato, ferito ed incarcerato), dopo essere stato eletto deputa­to nella lista massimalista e quindi liberato dal carcere, torna a Casola per rivedere la madre, ma i fascisti gli intimano di ripartire immediata-mente e non obbedendo Cavina alla vergognosa ingiunzione, con l'aiuto di squadristi fatti venire da Imola, Riolo Bagni e Borgo Rivola, inscenano davanti alla sua casa una violenta manifestazione fatta di ingiurie, mi­nacce e sparatorie finché il deputato socialista è costretto ad andarsene. In un secondo tempo i fascisti aprono scopertamente le loro ostilità anche nei confronti di quegli uomini del Partito Popolare che, pur senza alcun collegamento organizzato tra loro, assumono tuttavia atteggiamenti critici o contrari nei confronti del fascismo: il priore di Valsenio, don Francesco Bosi, è accusato di fare propaganda antifascista, il negoziante Ottorino Testi di favorire improvvisate riunioni dietro gli scaffali della sua rivendita, mentre il gestore della filiale del Credito Romagnolo, Giuseppe (Sandrino) Sandri viene minacciosamente invitato a pensare più ai numeri che a fare tristi previsioni sul futuro del fascismo. Il   3 gennaio 1925 Mussolini - resosi conto che la questione morale imposta all'opinione pubblica italiana dal delitto Matteotti avrebbe potu­to travolgerlo   decide di giocare il tutto per tutto e con un discorso ci­nico e tracotante annuncia alla Camera dei Deputati che da quel mo­mento ha inizio il processo di fascistizzazione dello Stato, che prevede l'eliminazione della libertà di stampa, di espressione, di riunione, di associazione. Polizia e magistratura vengono asservite al fascismo, la scuola verrà progressivamente usata per i fini del regime. Il   5 novembre 1926 il Consiglio dei Ministri scioglie tutti i partiti antifascisti, abolisce i loro giornali, confina i «sovversivi», istituisce il famigerato Tribunale Speciale per la Difesa dello Stato che comminerà agli antifascisti oltre 28mila anni di carcere e parecchie condanne a morte. Vengono poi sciolte anche le associazioni sindacali cattoliche e la Confederazione Generale del Lavoro. Comunisti, socialisti, liberali, repubblicani, popolari, anarchici sono costretti o ad emigrare o a subire persecuzioni di ogni sorta, il carcere o il confino. Ed è proprio nell'emigrazione e nelle galere fasciste, soprattutto, che si comincia lentamente e faticosamente a gettare le basi di quella unità antifascista che caratterizzerà la Resistenza italiana. La mazzata inferta ai partiti e alle organizzazioni sindacali non di­strugge certo l'antifascismo (anche nei momenti in cui il fascismo riusci­rà a conquistare un rilevante consenso, l'atteggiamento antifascista ri­marrà abbastanza diffuso fra le masse operaie e contadine), ma determina comunque condizioni difficilissime per la prosecuzione della lotta contro la dittatura. In Italia, al di là di casi di opposizione personale, questa lotta organizzata viene condotta fondamentalmente da due forze: un gruppo di intellettuali di formazione liberal-democratica che si richiamano con varie sfumature alla paternità ideale di Benedetto Croce - attestatosi ormai su una posizione di rifiuto del fascismo dopo un primo momento di ambigua tolleranza, suggerita da una vecchia ostilità nei confronti del socialismo - e soprattutto la organizzazione clandestina (estesa su dimensioni nazionali) del Partito Comunista d'Italia, preparato a questo tipo di durissima lotta fin dal periodo della semiclandestinità (1923-1926). Il   PCI è però costretto a tagliare i collegamenti tra le sedi clandestine provinciali e quasi tutti i piccoli centri distanti, come Casola, dove facce nuove, incontri e movimenti sospetti degli antifascisti, vengono subito notati, cosicché l'attività è limitata a contatti saltuari. A Casola un piccolo gruppo di comunisti e socialisti (non più di 15 persone) continua a vedersi a tre, quattro per volta per scambiarsi impressioni sulla situazione politica, per commentare la stampa clandestina le rarissime volte che giunge in paese attraverso i canali più disparati; oppure per ascoltare Angelo Morini di Riolo Bagni o Gino Monti di Faenza i quali, finché non cadranno nelle maglie della polizia fascista, salgono con mille circospezioni fino a Casola per portare la voce del Partito Comunista e riannodare in qualche modo le fila del partito nella vallata. L'attività antifascista rimane però ristretta ai vecchi comunisti e socialisti più attivi nel periodo precedente il fascismo, e solo nell'ambito familiare di costoro qualche frutto viene raccolto nell'opera di proselitismo di forze nuove da impegnare nella lotta contro la dittatura. Il   più attivo, e inevitabilmente il più colpito, è Aurelio Acerbi, il pri­mo segretario della sezione locale comunista, sottoposto ripetutamente ad ammonizione, incarcerato e maltrattato a tal punto da determinarne la morte prematura a 36 anni. Acerbi non solo resiste caparbiamente, parla con i vecchi compagni e li incoraggia, cerca di decifrare le notizie che vengono fornite dalla stampa fascista, ma dimostra concretamente come anche nella legalità sia possibile operare in qualche modo contro il regime, valendosi dei mezzi ancora utilizzabili. Nel giorno di Mezzaquaresima del 1931 una gran folla è convenuta a Casola per assistere alla tradizionale sfilata dei carri allegorici. Aurelio Acerbi presenta il carro «Le grandi tappe della storia», con cui intende celebrare i momenti più alti mediante i quali l'umanità è andata progres­sivamente conquistando dignità e diritti. Appare tra l'altro una scritta che esorta gli italiani «... ad accendere nella notte le fiacc9le, perché l'al­ba è vicina». Una frase tratta da uno scritto di molti anni prima di Alfredo Oriani, un autore osannato dal fascismo, ma che in questo momento politico assume un alto significato sovversivo come rileva la giuria che, fra le proteste della gente, relega il carro al 110 posto e propone Acerbi per una ennesima ammonizione. Ciò che imbestialisce ancora di più i gerarchetti locali, è il manto rosso fiamma che ricopre la donna simboleg­giante la Rivoluzione Francese, che raccoglie ripetute ovazioni della folla. In questo periodo si verifica un mutamento nella direzione del fascismo locale: agli squadristi rozzi e violenti dei primi tempi subentrano i piccoli e medi borghesi, gli studenti di famiglie benestanti dai modi e dall'aspetto più eleganti, ma sempre esponenti del ceto agrario casolano. Per gli antifascisti però nulla è cambiato: continuano minacce, persecuzioni, ammonizioni, carcere, anzi in certi momenti si inaspriscono senza alcun motivo, per soddisfare solo l'orgoglio e la vanagloria dei gerarchi di paese. Bianchi zòpp, comunista, esponente di un antifascismo di tipo paesa­no che si esprime in parole e gesti vistosi più che in azioni concrete, vie­ne confinato a Lipari, ma non cede e al suo ritorno ribadisce a voce alta ai fascisti, che lo hanno fermato al ponte del Cardello, la sua avversione alla dittatura: come d'altra parte non aveva ceduto anni prima quando, dietro sollecitazione dei fascisti locali, gli era stata tolta la pensione (unico suo mezzo di sostentamento), concessagli per aver perduto una gamba nella grande guerra. Sopravvive a Casola anche un altro tipo di antifascismo   si potreb­be dire sotterraneo - che si esprime soprattutto come rifiuto individua­le ma irriducibile, come opposizione di coscienza politica e morale an­che se è taciturna e isolata. Si fonda su convincimenti maturati negli anni prefascisti o durante la sua presa del potere: è il caso dei parecchi ar­tigiani del paese (soprattutto i ciabattini); o di quelle famiglie contadine che mantenevano vivo il ricordo delle migliori condizioni strappate nel periodo 1920-'22. In qualche famiglia mezzadrile l'avversione, se non l'odio, verso il padrone (che quasi sempre è fascista) diventa automatica­mente avversione al fascismo. Non è un antifascismo attivo per il momento, questo, ma diventerà più tardi una preziosa base di lavoro per le forze più combattive e meglio organizzate. Le condizioni in cui i non molti rimasti sulla breccia dell'antifascismo militante possono svolgere le loro pur limitatissime azioni sono terribil­mente difficili, a Casola come altrove, negli anni che vanno fino allo scoppio della seconda guerra mondiale. Alla sostanziale dissoluzione dei partiti antifascisti, alle persecuzioni sistematiche a cui sono sottoposti gli ostinati, si deve aggiungere anche il fatto che il regime fascista è purtroppo riuscito a realizzare attorno a sé un consenso o almeno una acquiescenza di dimensioni assai estese. Ciò appare evidente soprattutto negli anni a cavallo della conquista dell'Impero, ed è determinato da di­versi fattori: da un lato la retorica patriottarda destinata a far breccia particolarmente nella piccola borghesia e fra i giovani, e dall'altra una sfrenata demagogia (tanto più insidiosa in quanto può valersi di strumenti formidabili: il controllo completo della stampa, l'uso della radio, novità assoluta) rivolta a persuadere le masse popolari. Da non sottovalutare   per spiegare fino in fondo questa acquie­scenza al fascismo - la profonda e diffusa sfiducia generata dalla sconfitta delle forze antifasciste circa la possibilità di una ripresa di queste forze e quindi circa la prospettiva di una crisi di regime e poi che per gli strati sociali inferiori (braccianti, operai) sono anni di sottosalario, di sottoccupazione, per alcuni di fame vera e propria. Non è raro vedere lunghe file davanti al sindacato fascista di gente che spera di avere un posto nelle squadre della trebbiatura e il fiduciario fascista decide, a seconda della più o meno manifestata fede nel fascismo, chi deve mangiare e chi no .Certo, i braccianti del paese costituiscono lo strato sociale più pove­ro, tanto che per sfamarsi sono costretti ai più svariati ed umilianti lavori: la spigolatura, la garavlèda dell'uva, la raccolta della legna da ardere per venderla in paese. C'è gente che addirittura si sfama la sera mangiando due pugni di semi di girasole! E all'epoca dei lavori stagionali molto spesso i braccianti delle nostre colline si incamminano di notte isolatamente o a gruppi   per essere presenti il mattino nelle piazze dei paesi e delle cittadine di pianura dove si vendono a giornata, e quando va bene a stagione, appunto per guadagnare quel misero salario che vici­no alle loro case non è possibile avere. Conquistato l'Impero anche a Casola si registra una certa emigrazione di lavoratori verso quei paesi, ma nessuno vi trova la fortuna: le conquiste coloniali non sono fatte per arricchire i lavoratori! Nelle campagne il tenore di vita è leggermente superiore a quello del paese ma anche per i mezzadri, che costituiscono la grande maggioranza della popolazione contadina, e per i piccoli coltivatori diretti sono anni duri. Il fatto è che dietro una copertura demagogica il fascismo attua per un ventennio una politica economica che permette l'arricchimento di industriali ed agrari alle spalle di operai e contadini. La tanto strombazzata «battaglia del grano» ne è un esempio. Il fascismo lancia la parola d'ordine: «Produrre più grano! Gli italiani devono mangiare pane italiano!» In breve la produzione media italiana passa da 10 quintali per ettaro a 14; ma per ottenere questo si sono dovuti investire capitali in macchine agricole, concimi, ecc., capitali che devono però essere remunerati considerevolmente secondo la logica della speculazione, ed ecco che il fascismo introduce il dazio sul grano per tenerne alto il prezzo. La produzione non è però uguale in tutte le zone: va dai 26,6 q. per ha della pianura ravennate ai 10,4 del comune di Casola, caratterizzato da un grande frazionamento delle aziende agricole e da una bassa produttività del terreno. Grossi guadagni vanno quindi ai proprietari di più aziende in quanto i mezzadri e i piccoli coltivatori diretti sono co­stretti a consumare quasi interamente la loro produzione per il sostenta­mento e se rimane qualche quintale per il mercato, questo viene manovrato in modo da favorire gli speculatori, gli usurai, le banche. L'aumento del prezzo del grano causa l'aumento del prezzo del pane e il proletariato italiano, che ne è grande consumatore, paga un nuovo tributo ai ceti più ricchi della campagna.
(I testi delle schede sono tratti dal libro "La Resistenza sui monti di Casola" di Amilcare Mattioli e Giuseppe Sangiorgi  edito da Edit Faenza 1994)