I venti anni "neri" - La guerra fascista


Il 10 giugno 1940 l'Italia entra in guerra a fianco della Germania nazista contro Francia e Gran Bretagna, e mentre i portavoce del regime preconizzano una «guerra facile», il PCI lancia un appello a tutte le for­ze antifasciste per salvare l'Italia dalla catastrofe. Tutto è vano, anche se negli ultimi tempi della guerra di Spagna ha preso un certo avvio il processo di disgregazione del consenso al fascismo; questo rimane però ancora troppo esteso, soprattutto tra i giovani e la piccola borghesia; questa e quelli affascinati dalla retorica imperiale. Sarà solo nel corso della guerra che questo consenso si dissolverà rovinosamente. La guerra fascista avviata sulla base di una criminale impreparazione bellica si svolge senza un piano coordinato, con l'unico obiettivo di arrivare prima di Hitler o almeno assieme a lui in tanti, troppi settori del conflitto. In Grecia, in Albania, in Russia, in Africa, i soldati italiani pagano duramente la follia dei gerarchi fascisti e degli industriali i quali erano in attesa di sfruttare quei vasti mercati che secondo i loro piani le vittorie e lo spirito di collaborazione dell'Asse avrebbero assegnato all'Italia. Dopo alcuni facili successi iniziali, le sorti della guerra precipitano e nell'animo dei soldati nasce a poco a poco un malcontento che poi si tra­sformerà in odio contro chi li ha mandati a combattere: ci sono morti e feriti sempre più numerosi mentre i rifornimenti di armi e di equipaggiamento arrivano tardi, in modo confuso, e soprattutto si rivelano di qualità incredibilmente scadente; i militari che tornano dal fronte cominciano a diffondere le prime incredibili notizie sulla paralisi del nostro esercito, sull'armamento e sull'equipaggiamento largamente insufficienti, sulla inettitudine di certi comandi militari, sulle sofferenze atroci causate dal caldo del deserto africano o dal gelo della steppa russa. Giungono anche le prime vaghe ma terribili notizie sulle atrocità commesse dalle forze dell'Asse ai danni delle popolazioni dei paesi occupati. Le famiglie già in ansia per la sorte dei loro uomini, angustiate dal razionamento alimentare, sofferenti per i mille disagi, raccolgono quelle voci, fanno loro quel malcontento. Al consenso, all'acquiescenza precedenti si sostituisce rapidamente un sentimento di avversione alla guerra e al fascismo che l'ha voluta. E’ allora che si apre un campo assai vasto all'azione delle forze anti­fasciste, come dimostrano i grandi scioperi che nel marzo del 1943 scuo­tono l'Italia del Nord; scioperi che non si limitano a rivendicazioni di ca­rattere economico, ma pongono la questione della fine della guerra che ancora una volta viene pagata soprattutto dal proletariato e dalle masse contadine. Anche a Casola l'antifascismo va conquistando spazio, sia come opinione pubblica, sia come attività organizzata: già nel 1942 non è raro ascoltare nelle piazze e nelle osterie dichiarazioni apertamente antifasci­ste; i piccoli gerarchi locali, invano tentano, a volte con aria sorniona, al­tre volte con fare minaccioso, di combattere le argomentazioni che sem­pre con maggior arditezza (e anche bisogna dire con una buona dose di ingenuità) gli antifascisti casolani avanzano contro la guerra, contro il regime. In realtà i fascisti si accorgono di non avere più in pugno la si­tuazione, neppure tra i giovani. Ed è proprio tra i giovani che si ricostituisce vent'anni dopo una vera e propria organizzazione antifascista, sia pure di modeste proporzioni. Nella primavera del '43 Amilcare Mattioli, studente universitario a Bologna, già entrato nel Partito Comunista grazie al contatto stabilito con lui da Giuseppe D'Alema, costituisce assieme a Filippo Pirazzoli (Gigi), giovane maestro, e a Torquato Visani una cellula del PCI, collegata con 4'organizzazione di Bologna. Viene dato inizio ad un lavoro abbastanza sistematico di propaganda e di orientamento tra non pochi giovani stu­denti ed operai ormai conquistabili alla causa antifascista (Domenico Sangiorgi (Mengo), Aurelio Ricciardelli, Giuseppe Pittàno, Tonino Toz­zi, ecc.) e di recupero dei vecchi militanti di sinistra che erano rimasti fedeli ai loro ideali (per tutti si possono ricordare i fratelli Giuseppe e Antonio Bambi, Gildo Tabanelli, Guido Ricciardelli). Cominciano così ad arrivare a Casola le prime copie della Unità clandestina stampata a Bologna, che soprattutto Mengo diffonde per la cam­pagna; compaiono sui muri le prime «falci e martello», si raccolgono i soldi per il Soccorso Rosso. Quando poi il 10 luglio 1943 gli anglo-americani sbarcano in Sicilia e avanzano rapidamente, lo sfacelo del regime diventa generale, al punto che si verificano veri e propri atti di ribellione ai fascisti e ai loro metodi, atti inimmaginabili solo poco tempo prima.Ad esempio può servire un episodio: usando mezzi fraudolenti iL Fascio casolano riesce a far firmare ad alcuni giovani impegnati nel servi-zio premilitare una domanda di volontariato nei Battaglioni «M». Ciò significa - in considerazione della situazione della guerra - un suicidio quasi certo. L'inganno viene scoperto da uno dei giovani, Aurelio Ricciardelli, il quale si rifiuta di firmare e avverte gli altri giovani e le loro famiglie. A questo punto le madri dei giovani firmatari si recano in gruppo all'ufficio fascista e tanto urlano e minacciano che l'addetto al reclutamento è costretto a stracciare le domande raccolte, sfogando poi la sua rabbia prendendo a calci nel sedere Aurelio Ricciarelli.
(I testi delle schede sono tratti dal libro "La Resistenza sui monti di Casola" di Amilcare Mattioli e Giuseppe Sangiorgi  edito da Edit Faenza 1994)