Giulio
Cavina a Siena Intervento di Stefano
Maggi
IL
MOVIMENTO SINDACALE A SIENA NEL “BIENNIO ROSSO”
1.
Il sindacalista ferroviere Quirino Nofri deputato di Siena
Durante
l’ “età giolittiana” – primo quindicennio del Novecento – nel generale clima di
collaborazione tra le forze politiche voluta dal primo ministro Giovanni
Giolitti, si verificò una forte crescita del movimento sindacale senese, che
portò significativa vittorie anche a livello politico. Nel 1909, ad esempio, fu
conquistato il collegio elettorale per la Camera dei deputati con la candidatura di Quirino
Nofri, sindacalista dei ferrovieri molto conosciuto in città per la massiccia
presenza dei ferrovieri, i quali – grazie alla presenza delle officine di
riparazione dei treni – erano circa 800, il gruppo più numeroso di lavoratori
cittadini.
Assai
importanti furono poi le elezioni politiche del 1913, tenute con il suffragio
quasi universale maschile, che prevedeva il voto esteso a tutti i cittadini
maschi con almeno 30 anni di età (diminuita a 21 se alfabetizzati o se avevano
prestato servizio militare). In queste elezioni fu ripresentato il deputato
uscente, Quirino Nofri, appoggiato dalla sezione riformista del partito
socialista. Considerato un nemico dai socialisti ufficiali, che criticavano il
suo comportamento parlamentare, Nofri raccoglieva il consenso di gran parte
della cittadinanza schierata su posizioni democratiche.
A
lui vennero contrapposti Alfredo Bruchi, sostenuto dai conservatori, Enrico
Falaschi, presentato dall’Unione liberale, Antonio Boggiano per i cattolici
(che scendevano per la prima volta in campo) e infine un operaio fiorentino,
Filiberto Smorti, candidato dai socialisti massimalisti.
La
lotta elettorale del 1913, condotta con estremo impegno da entrambe le sezioni
socialiste, ebbe un ruolo rilevante nell’emancipazione politica dei lavoratori
della campagna, la maggior parte dei quali votava per la prima volta. I massimi
dirigenti a livello nazionale del partito socialista riformista, Leonida
Bissolati e Ivanoe Bonomi, intervennero personalmente in favore di Nofri,
tenendo due comizi nel collegio di Siena.
Nella
settimana precedente il ballottaggio, Quirino Nofri si recò nei municipi del
Senese, conducendo numerose assemblee e notando – scriveva il giornale “Il
Dovere Socialista” –
<<che
un cambiamento profondo si era verificato in mezzo alla massa elettorale. Fra i
paesani era vibrante lo sdegno per i metodi veduti seguire dai partigiani del
Bruchi... I contadini cominciarono ad intuire che se proprio i loro padroni si
erano con tanto ardore gettati nella lotta e se per la buona riuscita di quella
mettevano le mani al portafoglio, del quale in tempi normali sono gelosissimi,
si era perché essi difendevano un loro interesse, che non poteva essere che in
antagonismo con l’interesse dei contadini medesimi>>.
Fu
probabilmente questa la svolta decisiva che trasformò Siena in provincia rossa.
L’estensione del suffragio ai mezzadri e il trasferire da parte di questi sul
piano politico, e quindi sul voto, il contrasto con i “padroni” cui li aveva
abituati la lunga tradizione di confronti per la spartizione dei prodotti e la
definizione dei patti, costituì il momento decisivo del processo attraverso il
quale le “masse” fecero il loro ingresso sulla scena politica.
Tutto
questo portò a fortissime agitazioni nella situazione di disagio sociale che
seguì la prima guerra mondiale.
2.
Il “biennio rosso”
Al
termine della Grande guerra, mentre il partito socialista si stava rapidamente
riorganizzando, nei primi mesi del 1919 si verificò una forte ripresa delle
rivendicazioni operaie, causate sia dal calo dei salari reali verificatosi nel
quinquennio 1914-18, sia dalla volontà di ottenere miglioramenti nelle
condizioni di lavoro. L’Italia entrava nel periodo che è stato efficacemente
definito “biennio rosso”, caratterizzato da una forte mobilitazione socialista
e sindacale, nonché da frequenti manifestazioni di piazza, che assunsero un
carattere preinsurrezionale con l’occupazione delle fabbriche del settembre
1920.
Il
racconto del “biennio rosso” nel Senese è tanto avvincente e direi sconvolgente
per la durezza che assunse e per la reazione che generò, quanto poco
conosciuto.
Ve
lo sintetizzo rapidamente, iniziando da una data simbolica.
Il
22 febbraio 1919 a
Siena e provincia cominciò le pubblicazioni il battagliero “Bandiera Rossa
Martinella”, settimanale della Federazione provinciale socialista senese. Vi
leggo una citazione dall’editoriale del primo numero, in cui si affermava che
il giornale era:
<<fatto
da operai figli del popolo, che del popolo sanno i dolori e le aspirazioni, in
quanto che vivono in mezzo ad esso e ad esso appartengono. Quindi né letterati
né sfruttatori, né sapienti, né professionisti della penna... un giornale
socialista! Prettamente socialista ed esclusivamente operaio>>.
Il
cammino di emancipazione dal paternalismo borghese era definitivamente
compiuto. Redattore capo del giornale, per tutto il tempo in cui durò la
pubblicazione, cioè per tutto il “biennio rosso” fu un macchinista, che si
chiamava Giuseppe Bernini.
Segretario
della Camera del Lavoro fu eletto un altro ferroviere, Sesto Bisogni, con il
compito di riordinare l’istituzione che usciva dal periodo di guerra in pessime
condizioni finanziarie e amministrative. Bisogni iniziò un’assidua opera di
organizzazione e in meno di tre mesi costituì ben 82 leghe di mestiere, con le
quali fu avviata nelle campagne senesi una mobilitazione di massa senza
precedenti.
Vi
era inoltre un forte malcontento popolare dovuto alla crisi economica e sociale
del dopoguerra, che non si esprimeva soltanto con la mobilitazione sindacale,
ma anche con agitazioni spontanee di piazza.
Nel
luglio 1919, per esempio, esplose la collera contro i commercianti e iniziarono
saccheggi e devastazioni di negozi. I dirigenti della Camera del lavoro presero
le distanze dall’agitazione e tentarono di recuperare la merce, accettando
anche di ritirare le chiavi di quei negozi che avessero voluto affidarsi alla
mediazione del sindacato, scrivendo all’ingresso: “Merce a disposizione della
Camera del lavoro”.
Si
cercò inoltre un accordo con le autorità cittadine: venne vietata dal prefetto
l’esportazione fuori dalla provincia di alcuni generi di prima necessità e il
Comune di Siena fu autorizzato a effettuare requisizioni anche oltre la sua
giurisdizione, per evitare che i commercianti nascondessero la merce. Il Comune
di Siena a collaborare nelle requisizioni dei prodotti alcune persone designate
dalla Camera del lavoro che quindi aveva acquistato un potere notevole e
sconosciuto in passato.
Sebbene
alcune manifestazioni contro il rincaro dei prezzi si fossero già verificate
durante l’“età giolittiana”, nel dopoguerra la massiccia partecipazione
popolare e la retorica rivoluzionaria cominciavano a spaventare sempre di più
tutti quei ceti borghesi che erano rimasti fuori da questa mobilitazione e che
si sarebbero poi schierati con il fascismo egli anni seguenti.
Nella
vicenda degli assalti ai negozi si cominciò anche a vedere come le autorità
fossero poco propense ad accettare il potere che la Camera del lavoro aveva
acquistato.
Il
prefetto, per esempio, scriveva al Ministro dell’Interno con toni preoccupati
che ben presto l’opera della Camera del lavoro, leggo la citazione:
<<tendeva
ad emergere e a degenerare. Il personale della Camera montato sui camion per la
requisizione faceva sfoggio di bracciali rossi (fioriti come per incanto) e su
alcuni camion veniva inalberata la bandiera rossa>>.
Se
i dirigenti socialisti della Camera del lavoro si accontentavano in pratica di
trattare con le autorità statali e comunali, le parole e il comportamento dei
militanti facevano in effetti temere il rovesciamento dell’ordine esistente.
Del resto l’attesa della rivoluzione, sul modello della Russia, era assai
diffusa tra gli operai. Questi – leggo ancora una citazione di un testimone
dell’epoca –
<<sempre
più numerosi frequentavano le riunioni che si tenevano (...) alla Casa del
popolo... [dove]... non si faceva altro che parlare del popolo russo, il quale
dopo tanti anni di schiavitù si era liberato dall’oppressione zarista,
distruggendo per sempre il capitalismo>> (Umberto Coluccini).
Ma
più che in città la mobilitazione cresceva nelle campagne. La Federazione
nazionale lavoratori della terra assunse in provincia di Siena una rilevante
importanza, divenendo tra le più forti d’Italia e la più numerosa in Toscana.
3.
Le elezioni del 1919
Il
16 novembre 1919 si tennero in Italia le prime elezioni con il sistema a
rappresentanza proporzionale, che è poi rimasto in vigore fino a pochi anni fa.
Ora siamo invece tornati al maggioritario. Nel 1919 i vecchi collegi furono
sostituiti da circoscrizioni elettorali molto più ampie: le province di Siena,
Arezzo e Grosseto ne formavano una e avevano diritto all’elezione di 10
deputati.
I
socialisti massimalisti, <<tutti appartenenti alla frazione più accesa e
rivoluzionaria>> – scriveva il prefetto – dominavano ora il partito, dal
quale erano si erano peraltro allontanati quegli intellettuali che ne avevano
costituito la guida durante il primo decennio del secolo. Ora a dirigere il
partito socialista e la Camera del lavoro vi erano – sempre citando il prefetto
– <<persone di limitata cultura>>, la cui propaganda riusciva
comunque <<efficacissima>>.
I
due massimi esponenti del “biennio rosso” a Siena e provincia furono due “non
Senesi” che, arrivati da poco in città, vi portarono le esperienze
organizzative e politiche di centri maggiori e più industrializzati. Si
trattava di Sesto Bisogni e Giulio Cavina.
Bisogni
– come ho già detto – era un ferroviere e aveva prestato servizio per cinque
anni a Genova. Cavina, invece, aveva lavorato in Germania e nel Biellese come
scalpellino. Bisogni lasciò la carica di segretario della Camera del lavoro a
Cavina, dedicandosi alla Federazione dei lavoratori della terra.
Entrambi
furono candidati alle elezioni politiche del 1919, nelle quali il Psi riportò a
Siena una vittoria schiacciante, ottenendo la maggioranza relativa con il 41%
dei consensi. Nella circoscrizione elettorale furono conquistati cinque seggi,
con l’elezione di Bisogni. Quest’ultimo ottenne oltre 71.000 consensi e dovette
una parte importante della vittoria al sostegno proveniente dalla Federazione
lavoratori della terra: a questo punto la maggioranza dell’elettorato
socialista in provincia di Siena era infatti concentrato nelle campagne, dove
sia i braccianti sia i mezzadri erano organizzati in forti leghe rosse, che
avevano iniziato una battaglia senza precedenti contro i “padroni”.
Nel
settembre 1919 venne inaugurata a Siena anche la sede dell’Unione del lavoro,
il corrispondente cattolico della Camera del lavoro; e si accese una fiera
rivalità tra le due organizzazioni, ma le leghe bianche non riuscirono mai a
prendere campo tra i contadini della provincia, a differenza di quanto avveniva
in altre zone della Toscana.
In
seguito alle elezioni del novembre 1919, la lotta di classe si esasperò giorno
dopo giorno, i toni polemici divennero aperti insulti, ma soprattutto si
intensificarono gli incidenti tra operai e studenti nazionalisti.
4.
Gli assalti alla casa del popolo e la scissione comunista
In
questo quadro di lotta accesissima, il 7 marzo 1920, si verificò un’aggressione
alla Casa del popolo di Siena, durante la quale perse la vita Enrico Lachi, un
giovane ferroviere avventizio, iscritto al Fascio giovanile socialista. I fatti
si svolsero durante un corteo dell’Associazione nazionale combattenti che
passava davanti alla Casa del popolo: i combattenti si scontrarono con alcuni
operai e i carabinieri furono coinvolti nei tafferugli, sparando alcuni colpi
di arma da fuoco che uccisero il giovane Lachi. Da questo primo evento si vede
evidente come le forze dello Stato si stessero schierando contro i lavoratori,
che d’altra anche nei giornali non facevano altro che screditare i carabinieri
e le altre forze di polizia.
Aumentavano
intanto, per numero e intensità, gli scioperi nelle campagne. Nel luglio 1920,
le agitazioni dei mezzadri culminarono nell’eccidio di Monterongriffoli, una
frazione del comune di San Giovanni d’Asso dove i carabinieri uccisero tre
lavoratori, durante una manifestazione davanti alla villa padronale del paese.
Un fatto altrettanto grave si svolse in agosto ad Abbadia San Salvatore, in
occasione dell’inaugurazione della bandiera della Lega fra mutilati e invalidi
di guerra: in uno scontro tra socialisti, cattolici e carabinieri persero la
vita sei persone, tra le quali un bambino.
Alla
fine del settembre 1920 si tennero le elezioni amministrative per il consiglio
provinciale di Siena: i socialisti conseguirono 32 seggi su 40, conquistando
per la prima volta la provincia.
è
suggestiva la descrizione della seduta iniziale del consiglio: i consiglieri
della maggioranza si misero a gridare ripetutamente “viva il socialismo”,
insieme al folto pubblico intervenuto a festeggiare quello che si riteneva un
evento storico. Dopo essersi insediato al banco della presidenza, Sesto Bisogni
vi depose un vessillo rosso tra le proteste della minoranza guidata dal
liberale Gino Sarrocchi, che sarebbe poi stato ministro dei Lavori Pubblici nel
primo governo Mussolini. In provincia di Siena furono conquistati ben 30
municipi su 36. Rimase però fuori il Comune di Siena, dove la vittoria andò
agli avversari dei socialisti, riuniti in un “blocco” che comprendeva i
liberali, i nazionalisti, i radicali e al quale si era aggregato anche il partito
popolare, sconfessato persino dalla propria segreteria nazionale per il
comportamento tenuto di alleanza con le forze conservatrici.
E
arriviamo al gennaio 1921, per analizzare come fu vissuta a Siena la scissione
comunista: durante l’adunanza degli iscritti alla sezione socialista, presso la
Casa del popolo, Giulio Cavina, in qualità di segretario della Camera del
lavoro, fece al vasto pubblico intervenuto un’ampia relazione su quanto era
accaduto a Livorno, dove aveva partecipato al congresso, riferendo la sua
personale versione dei fatti, cioè che la scissione comunista <<si
sarebbe potuta evitare>> – cito il resoconto di “Bandiera Rossa
Martinella” – se non ci fossero state <<le questioni degli uomini che
personificavano le varie tendenze>>. Seguendo le indicazioni dello stesso
Cavina che aveva un forte ascendente tra i lavoratori, venne riaffermata
l’adesione incondizionata al Psi. L’uscita dei comunisti dal partito ebbe
quindi all’inizio scarse ripercussioni: alle elezioni politiche del maggio 1921
il partito comunista riportò a Siena appena 109 voti; l’adesione fu però
maggiore in val d’Elsa e in val di Chiana.
Intanto,
l’insediamento in 30 comuni della provincia di giunte rosse, le quali avevano
stabilito subito forti aumenti delle sovraimposte sui terreni, generò una
decisa reazione degli agrari, che iniziarono a finanziare apertamente il
movimento di Mussolini, presente anche a Siena fin dall’ottobre 1919, ma per
oltre un anno relegato in posizione subalterna, data la grande difficoltà di affermarsi
in una “provincia rossissima”, come la definì Giorgio Albero Chiurco, gerarca e
storico del fascismo.
Le
azioni squadriste in Toscana arrivarono al culmine alla fine del febbraio 1921 a Firenze e poi
dilagarono in tutta la regione. Il primo marzo la città di Empoli era in
sciopero, mentre passavano sui camion una quarantina di fuochisti della Marina
Militare, che dovevano recarsi a Firenze per sostituire il personale
ferroviario in sciopero. Durante il passaggio dei camion, si verificarono
diversi scontri con lancio di pietre, di tegole e colpi d’arma da fuoco: si
contarono nove morti, che sconvolsero l’opinione pubblica.
In
seguito ai fatti Empoli, a Siena, la mattina del 4 marzo del ‘21, combattenti,
fascisti, arditi e liberali si riunirono in corteo percorrendo le vie della
città e facendo chiudere i negozi in segno di lutto. Un gruppo di fascisti,
cantando “Giovinezza Giovinezza”, si diresse verso la Casa del popolo e poco
dopo si sentirono dei colpi di rivoltella. Furono accusati con sdegno i socialisti,
che negarono di aver sparato; in soccorso dei fascisti intervenne addirittura
un reparto di fanteria con mitragliatrici e due cannoni da montagna, mentre gli
stessi carabinieri partecipavano all’assalto per espugnare la costruzione dove
si erano asserragliati numerosi lavoratori. Nel pomeriggio verso le 17, gli
occupanti si arresero alla forza pubblica, ma furono percossi e arrestati.
Giulio Cavina, particolarmente odiato per il suo estremismo, venne anche
bastonato e fu scarcerato soltanto nel luglio successivo, grazie all’elezione
alla Camera dei deputati. Fascisti e militari, penetrati all’interno
dell’edificio, fracassarono i mobili e il patrimonio faticosamente accumulato
nel corso degli anni, e vi appiccarono il fuoco.
Per
il giorno successivo fu indetto uno sciopero generale in tutta la provincia,
attuato con una partecipazione massiccia; in città, tuttavia, aderirono
soltanto gli operai delle officine ferroviarie e di pochi altri opifici, mentre
i negozi rimasero aperti, sintomo evidente che la reazione fascista, appoggiata
dalle forze dell’ordine, cominciava a fare paura.
Il
9 marzo si svolse alla Camera dei deputati una lunga interrogazione sui fatti
di Siena, durante la quale il sottosegretario per l’Interno Camillo Corradini
ammise – cito le sue parole – che <<fa un grande effetto sentire che la
Casa del popolo è stata presa a cannonate...; [e] che la forza ha fatto
malissimo, perché doveva aprire la porta senza impiegare il cannone>>.
Dopo
che Gino Sarrocchi ebbe difeso l’operato delle autorità e dei fascisti, Sesto
Bisogni fece una completa e minuziosa relazione, mettendo in luce la complicità
dei tutori dell’ordine e rilevando la barbarie degli assalitori che avevano
picchiato gli arrestati. Bisogni terminò invitando il governo a restituire al
più presto la Casa del popolo, posta sotto sequestro, ai suoi legittimi
proprietari e a mettere in libertà gli innocenti.
Il
16 marzo si tenne nei locali della Casa del popolo di Poggibonsi, la più vicina
disponibile, un congresso generale delle leghe operaie senesi, per decidere il
versamento di una giornata di lavoro da parte di ogni organizzato al fine di
riparare i danni arrecati dall’incendio all’edificio del proletariato. Per
sostenere gli arrestati e le famiglie venne deliberata una sottoscrizione
volontaria.
Nelle
settimane seguenti gli attacchi del fascismo si moltiplicarono e la violenza
cominciò a spaventare tutti: nel numero di “Bandiera Rossa Martinella” del 2
aprile 1921, Emma Meini, moglie del tipografo Carlo Meini arrestato durante l’assalto
alla Casa del Popolo, comunicava che non avrebbe più pubblicato il giornale, a
causa delle intimidazioni ricevute, costringendo la redazione a trovare un
altro stampatore.
5.
La violenza “squdrista”
In
provincia molte amministrazioni comunali si dimisero sotto la minaccia
squadrista: il 9 giugno 1921, la sezione fascista senese chiedeva l’invio di
commissari prefettizi nei comuni di Pienza, Chiusi, Sarteano, Montalcino e
Buonconvento, poiché le amministrazioni socialiste avevano rassegnato le dimissioni.
In
questo clima, il 15 maggio si erano svolte le elezioni politiche. Per Siena fu
riconfermato Sesto Bisogni e fu inoltre eletto Giulio Cavina che così uscì dal
carcere. Nel Comune di Siena il Psi raggiunse il 47,8% dei consensi, contro il
41,3% ottenuto alle politiche del 1919.
Buona
parte della cittadinanza moderata, ormai intimorita dalle violenze e dagli
abusi, ben superiori a quelli in precedenza commessi dai socialisti
massimalisti, pur non osando opporsi apertamente, nel segreto delle urne esprimeva
il suo dissenso contro l’estremismo dei fascisti e dei loro alleati.
A
metà del 1921 la situazione nel Senese era ormai degenerata. Il 28 maggio era
stata fondata una Camera del lavoro italiana, emanazione dei fasci di
combattimento nel campo dell’organizzazione sindacale. Il 9 settembre il
giornale “Bandiera Rossa Martinella”, che ormai usciva saltuariamente,
riportava la cronaca di una lunghissima serie di azioni fasciste compiute in
provincia, e poi cessava definitivamente le pubblicazioni. Eravamo oltre un
anno prima della “marcia su Roma”.
Sesto Bisogni, la cui abitazione era continuamente sorvegliata dalle guardie regie per evitare aggressioni, scriveva il 13 gennaio 1922 un accorato appello al prefetto, in cui affermava – cito le sue parole – che
Sesto Bisogni, la cui abitazione era continuamente sorvegliata dalle guardie regie per evitare aggressioni, scriveva il 13 gennaio 1922 un accorato appello al prefetto, in cui affermava – cito le sue parole – che
<<i
regi carabinieri e i comandanti stessi grandi e piccoli hanno dimostrato di
avere perduta completamente la testa e di veramente sentire solo l’ordine del
mandante privato e non gli ordini dell’autorità del governo e del suo primo
rappresentante sig. prefetto>>.
Un
ispettore generale di pubblica sicurezza, inviato dal ministero dell’Interno ad
osservare la situazione in provincia, comunicava nel suo rapporto del 17 marzo
1922 che l’opera del prefetto era <<assidua e costante>>, ma si
scontrava con la mancanza di uomini a disposizione della questura. Sull’operato
dei carabinieri l’ispettore ammetteva – cito ancora le sue parole – <<che
l’azione dell’Arma in genere, osservata con occhio spassionato, non appare così
completamente equilibrata ed imparziale come sarebbe da augurarsi>>.
Veniva inoltre messa in luce la connivenza della magistratura che aveva
<<a Siena bisogno di mostrare un’attività più efficace e più
energica>>, e si escludeva <<in modo reciso che quel procuratore
del Re sia il meglio indicato per un tale compito>>.
Un
mese dopo, il deputato socialista Fabrizio Maffi fu aggredito durante lo
svolgimento di un convegno provinciale presso la Casa del popolo che,
nonostante fosse continuamente sorvegliata da guardie regie, nell’occasione fu
assediata dai fascisti i quali, arrampicandosi sul muro esterno, issarono la
bandiera tricolore sull’edificio.
La
situazione era ancora peggiore nelle campagne, come lamentava Bisogni alla
Camera dei deputati il 10 maggio 1922. Vi leggo le sue parole, riportate negli
Atti Parlamentari:
<<è
ormai cosa di tutti i giorni la cronaca delle violenze che avvengono in
provincia di Siena... Da 15 o 16 mesi, in quella provincia, siamo messi a ferro
e fuoco da paese a paese, e di morti ce ne sono tre a Chiusi, due a San
Gimignano, uno a Montepulciano, altri a Poggibonsi ecc. Da tutte le parti morti
appartenenti alle classi operaie... e gli arrestati pure sono tutti di parte
operaia. Dalla parte dei signori, o dei signori servi degli agrari... nemmeno
un arresto... Quella provincia, che all’estero e dovunque rappresenta quasi
l’anima gentile e il linguaggio d’Italia, le più eccelse tradizioni gelosamente
custodite, oggi vive la vita della Vandea>>.
Con
le sue parole Bisogni si guadagnò dure minacce da parte dei fascisti, che alla
denuncia della violenta realtà senese risposero sul loro giornale, che si
chiamava “La Scure”. Vi leggo anche questa citazione:
<<Lo
scalpellino Cavina e il frenatore Bisogni han promesso in Parlamento di voler
dirigere la rivolta nella nostra città ed hanno osato calunniare la
tradizionale gentilezza delle nostre popolazioni, con frasi da gente di
suburra, quali essi si sono dimostrati. Fascisti! Noi dobbiamo raccogliere la
sfida e in questo maggio il raglio dei due onorevoli asini, deve essere
accompagnato dalla musica suadente dei nostri manganelli>>.
Allo
“sciopero legalitario” dell’agosto 1922, indetto
dall’Alleanza del lavoro per protestare contro le violenze, parteciparono a Siena città soltanto sei ferrovieri del personale di macchina, e i fascisti li avvisarono minacciosamente dalle pagine del giornale “La Scure”: <<abbiamo preso nota del loro incauto gesto e li consigliamo, per il loro bene a non ripeterlo>>. Tutti gli altri si presentarono regolarmente a lavoro, – continuava “La Scure” –<<anche i capi, i famosi capi dell’armata rossa che pur avevano in tasca l’ordine tassativo della diserzione impartito dai famosi comitati rivoluzionari>>.
dall’Alleanza del lavoro per protestare contro le violenze, parteciparono a Siena città soltanto sei ferrovieri del personale di macchina, e i fascisti li avvisarono minacciosamente dalle pagine del giornale “La Scure”: <<abbiamo preso nota del loro incauto gesto e li consigliamo, per il loro bene a non ripeterlo>>. Tutti gli altri si presentarono regolarmente a lavoro, – continuava “La Scure” –<<anche i capi, i famosi capi dell’armata rossa che pur avevano in tasca l’ordine tassativo della diserzione impartito dai famosi comitati rivoluzionari>>.
E
arriviamo alla “marcia su Roma” dell’ottobre 1922. Dopo essersi riforniti di
armi nella fortezza di Santa Barbara senza incontrare alcuna resistenza, nella
notte tra il 27 e il 28 ottobre, circa 2.000 fascisti senesi partirono per la
“marcia su Roma” con una tradotta ferroviaria. Ad Asciano, Sinalunga e Chiusi
salirono numerosi altri uomini dei paesi della provincia. Tra questi le squadre
dei temuti fasci dell’Amiata, ai quali Chiurco aveva ordinato di concentrarsi
nelle stazioni della linea.
La
Casa del popolo senese pochi giorni dopo fu nuovamente occupata e venne
inalberata nella terrazza la bandiera tricolore. Restaurata in pochi mesi,
dall’aprile 1923 divenne proprietà dei fascisti che si erano iscritti in massa
acquistando così la maggioranza, e fu poi adibita a sede del Fascio, dove si
dovevano educare le classi più umili – vi leggo ancora una citazione dal
giornale fascista –
<<mediante
buone letture e conferenze, alla concezione del dovere e dell’onesta,
allontanandole da tutto ciò che può costituire incitamento all’ozio e al vizio,
impedendo assolutamente che le sue sale diventino un ritrovo di falsi pastori
del proletariato>>.
Si
chiudeva così, temporaneamente, la parabola delle organizzazioni socialiste e
sindacali nel Senese, sorte all’interno delle istituzioni dello Stato liberale
e tramontate con queste, senza che mai vi si fossero identificate. Il
radicalismo e il socialismo di matrice mazziniana e cittadina dell’ultimo
Ottocento e del primo Novecento avevano ottenuto importanti successi
elettorali, ma con l’allargamento del suffragio erano stati progressivamente
soppiantati dall’elettorato massimalista delle campagne, duramente ricacciato
indietro mediante la forza in una competizione che nel dopoguerra assunse
presto la fisionomia di una lotta agraria spietata senza precedenti e senza
esclusione di colpi. Tale base di massa verrà però recuperata dai comunisti con
la seconda guerra mondiale e con la resistenza.
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