Quando i contadini facevano il pane per i partigiani di Aurelio Ricciardelli


Senza il sostegno e la solidarietà delle popolazioni rurali, dei contadini dell’Appennino, le formazioni partigiane non avrebbero potuto sopravvivere, non avrebbero potuto svolgere quel ruolo militare e politico decisivo per la sconfitta del nazifascismo e per la liberazione del Paese.
Sono tante le situazioni che descrivono lo stretto rapporto tra popolazione contadina e Resistenza e vorrei raccontare un episodio, di cui sono stato diretto testimone, che mi pare particolarmente significativo.
Era l’agosto del 1944, pochi giorni prima di Ferragosto. La mia Brigata, la 36.ma Garibaldi “Alessandro Bianconcini”, era dislocata nell’alta valle del Rio Rovigo nell’Appennino tosco-romagnolo, nelle retrovie della Linea Gotica. In tutto 800 partigiani, comandati da Luigi Tinti (Bob).
La situazione era particolarmente difficile, perché da alcuni giorni la zona era investita da un fitto cannoneggiamento tedesco che impediva qualunque movimento. E ogni giorno che passava il cibo diventava sempre più scarso.
Il Comando di Brigata, che sapeva della mia conoscenza del territorio, soprattutto del versante romagnolo, mi ordinò di uscire dall’accerchiamento, che nel frattempo si era allentato. Dovevo reperire viveri e portarli nella nuova zona, il fondo Rimirara nella parrocchia di Valsalva, nel Comune di Castel del Rio, dove il giorno dopo avrebbe sostato l Brigata in ritirata dalla zona del Rio Rovigo.

A cavallo – inseguito dal fragore delle fucilate tedesche – riuscii ad attraversare le linee per raggiungere la zona di Sant’Apollinare, nel vicino Comune di Casola Valsenio. Lì, al mulino della Gattara nei pressi di Mercatale, sapevo di poter trovare farina sufficiente, quella a mercato nero che il mugnaio aveva accumulato.
Anche quel mulino, come tutti gli altri della zona, era sorvegliato da un fascista della Repubblica sociale. Ci andavano “volontari”, a fare quel tipo di servizio, ben contenti di interrompere la sorveglianza  in cambio di qualche chilo di farina.
E così accadde in quel caso. Riuscii a contattare il mugnaio che fece in modo di fare allontanare il milite repubblichino.
Con i soldi che mi aveva dato il Commissario di Brigata, Guido Gualandi “il Moro”, comprai sei sacchi di farina, ma per trasportarla i muli del mugnaio non bastavano. Chiesi allora l’aiuto di due mezzadri che abitavano lì vicino, che vennero con i loro asini. Fu così possibile caricare tutta la farina, ma come fare per ricavarne del pane, in breve tempo e in quantità sufficiente?

Partimmo con i muli e asini carichi dei sacchi di farina. Io andai avanti, a cavallo, ad avvisare i primi mezzadri, poi fu un passaparola: “Sta arrivando la farina per fare il pane per i partigiani”.
La mobilitazione fu generale, con uomini, donne e ragazzi impegnati a lavorare per preparare e cuocere il pane che la mattina dopo avrebbero dovuto portare a Rimirara di Valsalva, dove  nel frattempo si sarebbe concentrata la 36.ma Brigata Garibaldi.
Il pericolo per i contadini era grande. Sarebbe bastata una soffiata, una spiata ai fascisti di Casola o Palazzuolo, per esporre ognuno di loro al rischio di una rappresaglia. E per noi – particolarmente in quel momento - sarebbe stato difficile difenderli.

La mattina dopo i contadini si mossero tutti insieme, con il pane caricato a spalla o sugli animali da soma, fino oltre il crinale, per raggiungere Rimirara, nella parrocchia di Valsalva. Io ero lì, ad aspettarli, e arrivarono con centinaia di pagnotte di pane. Quella stessa mattina arrivarono anche i partigiani della Brigata: ad attenderli trovarono il pane dei contadini.

Questa è la dimostrazione che senza la collaborazione di questa gente, poverissima ma ricca di una dignità e di un coraggio straordinari, la nostra vita, la vita della Brigata sarebbe stata impossibile. E forse la storia della Resistenza avrebbe preso un altro corso.
Ne è testimonianza il primo tentativo di resistenza affrontato da me e da alcuni amici nel novembre 1943 nella zona del monte Battaglia. In quell’occasione, non essendo riusciti a costruire legami con gli abitanti della zona, dopo quindici giorni dovemmo abbandonare l’impresa.
Se la Resistenza è stata una vittoriosa lotta di popolo per la libertà e la dignità nazionale, lo si deve anche a quei contadini.  Aurelio Ricciardelli Casola Valsenio (RA)