La battaglia di Monte Cece


Contemporaneamente ai combattimenti di Monte Battaglia, sulle alture contrapposte del versante di destra della valle del Senio, la I Divisione di fanteria britannica impegna una lotta selvaggia con la 715a Divisione di granatieri tedeschi per la conquista dell'importante quota militare di Monte Cece, dominante la strada Casolana (chiamata direttrice «Freccia» nei dispacci alleati). 
Le truppe inglesi sono costrette ad avanzare su strade e sentieri resi irriconoscibili dalla pioggia e da un traffico di veicoli militari assai sostenuto e poco organizzato. Per superare gli ostacoli frapposti dal fango nello svolgimento di tutte le attività di appoggio alle operazioni militari vere e proprie, in particolare il rifornimento di armi e viveri e il trasporto dei feriti, tanto le truppe britanniche che quelle indiane, alle loro dipendenze, si erano messe ad impiegare i muli su vasta scala. Il   3 ottobre 1944 una brigata di fanteria si conquista a fatica un pezzo di montagna con un attacco sotto la pioggia battente; ma poi gli inglesi sono costretti a retrocedere poche ore dopo da un contrattacco che i tedeschi sferrano con estrema violenza, spalleggiati da alcuni reparti di bersaglieri dell'esercito repubblichino. Il   giorno dopo gli inglesi rinnovano l'assalto, ma sono costretti a fermarsi alle pendici del monte; un altro battaglione compie allora un ulteriore tentativo, con la copertura delle mitragliatrici, ma anche questo è costretto ad arrestarsi a circa 300 metri dalla vetta. Le speranze di conquista di Monte Cece da parte alleata vengono affidate ad un ultimo battaglione non ancora impegnato, ma già il primo tentativo dei fucilieri si conclude con una cruenta delusione. Viene quindi concordato l'intervento delle artiglierie piazzate a S. Apollinare, ma i fucilieri britannici impiegano più tempo del previsto per arrampicarsi lungo le pendici del monte, ostacolati come sono dalla nebbia, dalla pioggia e dal fango così che quando il fuoco di sbarramento dell'artiglieria cessa i tedeschi possono riprendere le loro posizioni dominanti e da qui falciare le squadre inglesi che sopraggiungono. Riprende allora immediatamente il fuoco delle artiglierie alleate, ma i superstiti del battaglione inglese devono rassegnarsi a consolidare le loro posizioni a meno di 50 metri dalla cresta di Monte Cece. 
Il   tentativo di raggiungere la vetta viene rinnovato l'8 ottobre, nel primo pomeriggio, e finalmente dopo un sanguinoso corpo a corpo, gli inglesi conquistano Monte Cece, proseguendo poi nello slancio verso il displuvio successivo e costringendo i tedeschi a ripiegare sul Cerro e sul Monte della Vecchia; ma intanto molti soldati della Wehrmacht, stanchi di combattere, laceri, sfiduciati, si lasciano catturare dagli inglesi che rastrellano i campi e i boschi del fianco nord del monte. Si può dire che dalla fine di settembre non solo le zone a ridosso del­le linee di combattimento ma tutto il territorio di Casola si trasforma in teatro di guerra in quanto costituisce l'immediata retrovia delle truppe tedesche e le conseguenze per gli uomini e le cose sono disastrose, cosicché il fenomeno dello sfollamento assume dimensioni massicce. Tra il giorno 25 e il 26 settembre le granate cominciano a cadere sempre più fitte sul paese, lungo il fiume e la strada provinciale, mentre gli aerei alleati bombardano il centro abitato, colpendo il Casermone sotto le cui macerie perdono la vita una donna e due suoi piccoli figli. Nelle strade si ammucchiano ormai cumuli di macerie, molte case sono sventrate, un denso fumo grava su tutto. Chi è rimasto in paese cerca di porsi in qualche modo al riparo in rifugi ricavati nelle cantine o negli anfratti sul fiume dove rimane in paurosa attesa per due giorni e due notti, tanto dura il cannoneggiamento. Poco prima delle ore 10 del 28 settembre alcuni aerei alleati sbucano da sopra la collina di Meleta e l'abitato di Casola viene ancora sottoposto ad un violento bombardamento: finita l'incursione, la calma scende sul paese, rotta qua e là da lamenti di feriti, da grida di ricerca. 
I casolani che ancora erano rimasti escono dai rifugi, raccolgono qualche indumento personale, spesso rovistando tra le macerie, e quasi tutti si decidono a sfollare in campagna, in maggioranza oltre il fiume, dove i combattimenti sono meno intensi. Gli sfollati, soli o a gruppi, chiedono ospitalità alle famiglie contadine, ospitalità che non viene mai rifiutata, anche se chi la chiede non è un parente, né un amico, né un conoscente: è questo un altro tributo che la popolazione contadina paga generosamente alla guerra. A nessuno viene chiesto conto del passato, non viene mai avanzata una richiesta di denaro per l'alloggio e il vitto, e tutto ciò di cui dispone la famiglia contadina viene diviso equamente tra i presenti. Ma neanche in campagna la popolazione civile può ritenersi al sicuro: il 30 settembre un proiettile d'artiglieria esplode all'interno di un rifugio improvvisato nei pressi di Ca' Galassi di Budrio dove sono accalcate alcune famiglie: il ventaglio di schegge e lo spostamento d'aria uccidono dodici persone. I pericoli cui debbono soggiacere gli sfollati non si limitano a questo: è sempre incombente infatti la minaccia di rappresaglie che   come abbiamo visto - colpiscono in modo indiscriminato e feroce. Il 6 ottobre, per citare un caso, in località 5. Andrea in seguito all'uccisione, ad opera di tre partigiani, di tre tedeschi, non solo le postazioni partigiane vengono bombardate col fuoco dei mortai, ma vengono date alle fiamme anche due case coloniche. La rappresaglia continua col prelevamento di circa 50 sfollati casolani che vengono disposti in fila per la fucilazione. Giuseppe Pittàno, che è fra loro, riesce a convincere il comandante del plotone della estraneità dei civili nella uccisione dei tedeschi e della inutilità di una simile strage che invece di incutere timore non provocherebbe altro che odio. Nei giorni che seguono non c'è tregua nel bombardamento su Casola e dintorni, mentre innumerevoli scontri si susseguono tra pattuglie tedesche da una parte e, dall'altra, pattuglie partigiane e anche alleate che effettuano delle incursioni partendo dal fronte del loro schieramento che taglia la vallata lungo una linea che va da Monte Battaglia a Monte Cece. Come ben si può capire a questo punto, le condizioni della gente di Casola - sia quella sfollata, sia quella rimasta in paese - stanno raggiungendo un livello di disagio intollerabile e pongono problemi gravissimi di ogni genere.