La Resistenza - Partigiani e contadini


Già abbiamo accennato al fatto che di fondamentale importanza perché la brigata partigiana possa non solo operare attivamente come unità politico-militare, ma perfino sopravvivere come aggregazione di cento, poi duecento, e infine di mille e più uomini, è il rapporto con la popolazione contadina, cioè con coloro in mezzo ai quali i partigiani vivono ventiquattro ore su ventiquattro. E’ abbastanza evidente che se la gente di campagna non avesse assunto anche nelle nostre zone un atteggiamento di tolleranza prima, di collaborazione poi ed infine di partecipazione diretta, ben difficilmente la guerra partigiana avrebbe potuto assumere il volto e le dimensioni di «guerra di popolo» che invece essa riuscì a darsi anche nelle nostre vallate. Ciò del resto accadde in una miriade di zone contadine dell'Italia centro-settentrionale, ma per quanto ci riguarda dobbiamo richiamare e sottolineare il fatto che nella media e alta valle del Senio, del Santerno, della Sintria, del Lamone questa popolazione contadina era nel suo complesso di estrazione montanara, ben lontana cioè nelle sue esperienze civili e politiche, e perfino in quelle più immediatamente umane, dalla avanzata maturità dei contadini della pianura i quali - mezzadri e braccianti - già a partire dalla fine dell'Ottocento e poi fino all'avvento del fascismo avevano formato leghe e coope­rative, organizzato scioperi, costruite Case del Popolo e fondato circoli e sezioni del Partito Socialista dove faticosamente si erano abituati a leg­gere o a farsi leggere la stampa socialista. Il territorio collinare e montano invece era sempre stato un mondo chiuso, retto e controllato da due figure dominanti: quella del padrone, dispensatore di lavoro per i braccianti e di patti e poderi più o meno buoni per i mezzadri; e quella del parroco, elargitore di buone parole, di saggi consigli di moralità e pazienza, di aiuti anche importanti in certe circostanze: scrivere e leggere le «carte», ad esempio, o curare certe pra­tiche, decifrare i conti e così via. Ora questa caratteristica di chiusura culturale e politica non può non complicare   a volte in maniera davvero grave - il problema di calare prima la Resistenza in mezzo a questa gente e poi di farla diventare una cosa sua, una sua battaglia. Non può quindi sorprendere il fatto che i rapporti fra la brigata e la popolazione contadina siano piuttosto deboli all'inizio, data anche la provenienza dei primi partigiani dalla pianura e dalle città; ma poi con l'intensificarsi della lotta questi rapporti divengono sempre più stretti, tanto che i contadini, dopo aver in un primo tempo aiutato materialmen­te i partigiani con alimenti, vestiario, alloggio, parteciperanno attivamen­te alla Resistenza combattendo nelle file partigiane (come è documentato dalle fonti statistiche che anche in questo nostro lavoro vengono pub­blicate per quanto riguarda il comune di Casola Valsenio), naturalmente continuando a fornire tutti gli aiuti logistici iniziali. Né questa collaborazione era limitata ai giovani, ma veniva offerta anche da parte di donne, vecchi o ragazzi. Naturalmente l'approccio iniziale e poi la saldatura definitiva fra il movimento partigiano e i contadini delle vallate non furono frutto spontaneo e naturale, né determinati in modo miracoloso da eventi straordinari, anche se è chiaro che le drammatiche vicende dei mesi che vanno dall'autunno del '43 all'estate del '44 giocarono un ruolo assai importante nella definizione ditali rapporti. Ci fu anzi da parte delle forze più politicizzate della Resistenza (soprattutto i commissari politici e i comandanti di reparto) un preciso e sistematico impegno per stabilire un piano di reciproca comprensione o almeno di un superamento delle iniziali vicendevoli diffidenze che si rifacevano oggettivamente soprattutto al notevole divario del livello di maturazione politica e di preparazione culturale esistenti fra i due mondi che allora per la prima volta si stavano incontrando: abbiamo già ricordato che i primi gruppi di partigiani erano per lo più composti da giovani operai e studenti di Imola, Bologna, Faenza, cioè di cittadini, notevolmente distanti dunque dalla mentalità, dalle abitudini e dal livello di vita dei contadini della montagna, e ciò costituiva già in partenza una difficoltà di non lieve peso. Il processo di avvicinamento e di fraternizzazione comunque si realizzò soprattutto perché ci fu l'intuizione politica (e la conseguente iniziativa organizzata di informazione e di propaganda) che le questioni ge­nerali che erano motivazioni di fondo della Resistenza (la lotta contro il fascismo per la libertà, contro i nazisti per l'indipendenza nazionale, per la pace contro la guerra) dovevano essere poi calate all'interno del mondo contadino - per potervi essere intese e recepite   in termini più concreti, e per ciò più direttamente, vorremmo dire più elementarmente, comprensibili: ecco allora il paziente e non facile lavoro per spiegare come il fascismo sia il principale fattore delle condizioni di miseria dei la­voratori e in particolare dei contadini poveri; come i tedeschi siano necessariamente razziatori di uomini e di cose; come solo la Resistenza possa preparare e gia in parte realizzare una ben diversa condizione umana e sociale per tutti i cittadini italiani, e dunque anche per i contadini delle vallate di Romagna. Questo impegno di vera e propria educazione politica di massa si svolge naturalmente in modi e in tempi diversi, a seconda della diversità della situazione: altro è parlare ai miseri piccolissimi proprietari della Casetta di Tiara o di Cortecchio della montagna di Palazzuolo, altro discutere con le famiglie di mezzadri o di coltivatori diretti della bassa di Valsenio dove oltretutto gli anziani riascoltano e ricordano bene a vent'anni di distanza parole di riscatto sociale già pronunciate da Luigi Sasdelli o da Giulio Cavina nel «periodo rosso» e dove molti giovani contadini sanno leggere e scrivere, frequentano il paese, hanno già scambiato qualche parola importante con giovani antifascisti di Casola o Riolo Bagni. C'è dunque anche nella nostra vallata una notevole differenziazione delle possibilità, dei tempi e dei modi della presa di contatto del movimento partigiano col mondo contadino circostante; è però possibile affermare   sulla base di dati certi - che questa costruzione di un legame organico e via via più solido si realizza ovunque secondo una progressione tipica di lavoro politico-sindacale, e fondamentalmente su al­cuni punti essenziali che sinteticamente sono:


a) una costante opera dì informazione e di orientamento politico ver­so la popolazione contadina per spiegare i motivi e le finalità della Resi­stenza, come lotta di liberazione ad un tempo nazionale, politica e sociale;
b) una attenta difesa del patrimonio zootecnico e agricolo dalle razzie dei tedeschi. Molti contadini, infatti, per sottrarre il loro bestiame alla rapina nazifascista lo conducono (tranne pochi capi indispensabili per i lavori agricoli) nelle zone controllate dai partigiani che ne destinano una parte al loro sostentamento e a quello della popolazione civile 24 interessante ricordare che quando si verifica questa specie di mercato (e anche in caso di requisizione forzata allorché se ne presenta la necessità) i partigiani pagano sempre la parte del contadino in denaro contante, anche ad un prezzo superiore a quello imposto dalle autorità fasciste, e spesso la parte del padrone in buoni di prelevamento che per decreto del CLN dell'Alta Italia hanno valore legale in tutto il territorio di ope­razioni della 36a e che verranno pagati dal Governo Italiano alla fine della guerra (anche se solo parzialmente per motivi non certo dipendenti dai comandi partigiani). Ma ci sono zone - come le montagne di Palazzuolo, le alte colline delle valli del Senio, del Sintria, del Lamone e del Santerno   dove i contadini vivono da sempre in uno stato di miseria e di abbruttimento fisico tali che a volte sono gli stessi partigiani a rifornirli di viveri e a tentare di migliorare la loro condizione morale ed umana; naturalmente nei limiti che la situazione permette: anche questo contribuisce a creare un rapporto di fraternità che poi si tradurrà quasi spontaneamente in una stabile collaborazione;
c) la formulazione e la proposta di nuovi patti colonici a vantaggio dei mezzadri, cosicché mentre il Governo Nazionale presieduto da Bonomi proroga, sia pure provvisoriamente, i vecchi contratti mezzadrili del periodo fascista nettamente favorevoli per i proprietari; in alcune zo­ne di influenza delle brigate partigiane i Comitati di difesa dei Contadini, organismi guidati dai CLN e dai partiti antifascisti, emanano disposi­zioni sulla ripartizione dei prodotti agricoli dei poderi condotti a mezzadria favorevoli invece per i contadini;
d) la possibilità per i partigiani di estrazione contadina di poter abbandonare temporaneamente i reparti - nei periodi di calma delle ope­razioni militari - per aiutare i familiari nei lavori agricoli ed anche una collaborazione di lavoro - specialmente durante la trebbiatura - tra le compagnie partigiane e i contadini in cambio di una parte del prodotto;
e) la lotta ai ladri e ai rapinatori che battono la campagna, alcuni spacciandosi per partigiani: questa inflessibile e severa repressione si rende necessaria non solo per difendere l'amicizia e la fiducia che esiste tra i contadini e le forze della Resistenza ma anche perché le forze parti­giane si sono di fatto sostituite alle Forze dell'ordine, completamente assenti in campagna. A questo riguardo è opportuno rilevare che anche all'interno stesso delle formazioni partigiane viene svolta una attenta sorveglianza al fine di scoprire chi eventualmente, dietro un paravento di generosi ideali, persegue solo il suo interesse o chi si lascia sedurre da facili tentazioni. I commissari hanno la facoltà di controllare in ogni momento quanto denaro i partigiani portano con loro, che non deve mai superare la somma di 150 lire. E’ probabile però che qualcuno sia riuscito a superare i controlli, in particolare nella tarda estate con l'approssimarsi del fronte e con l'afflusso nella zona di sbandati, di individui di ogni provenienza e condizione che battevano la campagna e che a volte entravano nelle file partigiane senza che ci fosse la possibilità di controllare rigorosamente la loro provenienza e se esistesse in loro una adesione cosciente ai valori morali della lotta di liberazione. Comunque una prova in più della limitatis­sima entità di questi fenomeni di degenerazione fu poi tragicamente fornita in seguito dai molti, troppi ex partigiani - non certamente arricchitisi   che al termine della guerra morirono dilaniati mentre erano intenti allo sminamento dei campi per un compenso davvero misero. Per completare questo discorso sulla compenetrazione fra movimento partigiano e gente contadina è anche necessario mettere in rilievo che essa non sarebbe stata possibile (o sarebbe stata assai più difficile) senza l'aiuto prestato in modo diverso dal clero di montagna. Abbiamo già ricordato quanto notevole fosse ancora l'ascendente del parroco sulla popolazione contadina, un ascendente derivante certo dal suo ministero religioso, ma fondato anche sul ruolo che egli esercitava nella società civile: consigliere ascoltato sulle questioni più delicate ed importanti nell'ambito familiare ed esterno; tramite quasi necessario per stabilire un contatto con l'apparato statale; spesso maestro di scuola, scrivano, lettore delle preziose lettere che arrivavano dal fronte o dai familiari lontani; controllore di fiducia dei conti compilati dai padroni o dai loro fattori. Il prete di montagna godeva insomma di una stima che si traduceva oggettivamente in una situazione di autorevolezza in ogni campo. Proprio in considerazione di questa situazione, quando la com­pagnia partigiana si sposta in una nuova zona, il commissario politico prende subito contatto con il parroco invitandolo a svolgere tra i suoi parrocchiani una azione di propaganda in favore della Resistenza. Un atteggiamento favorevole alla lotta di liberazione è pressoché ge­nerale da parte dei parroci di montagna, e spesso questo atteggiamento diventa vera e propria collaborazione nell'ospitare i feriti partigiani, nel seppellire i loro morti contro le imposizioni dei fascisti o svolgendo un rischioso lavoro di informazione. Questa collaborazione del clero di campagna spiega perché nella no­stra zona nonostante una inconsistente attività militare e politica di un partito o di un movimento di matrice cattolica si sia verificata una rilevante collaborazione e partecipazione diretta alla Resistenza da parte di numerosi cattolici - mezzadri e soprattutto coltivatori diretti - che dopo la Liberazione costituirono in buona parte la base di massa della Democrazia Cristiana.

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Alla fine di giugno la saldatura tra le forze partigiane e le masse contadine deve sottostare alla prova del fuoco costituita dalla «battaglia contro la trebbiatura», con lo scopo di impedire ai tedeschi di razziare il grano e di trasportarlo in Germania, con il doppio scopo di affamare l'Italia e di rifornire loro stessi. I contadini rispondono immediatamente e pressoché unanimemente al­le direttive del Partito Comunista e del CLN provinciale che ordinano di:

1) rallentare al massimo la mietitura;

2) non raccogliere il grano nelle aie, ma lasciarlo legato in covoni nei campi;

3) impedire la trebbiatura che dovrà essere compiuta a liberazione avvenuta il 29.

Analoghe direttive vengono diramate dai corrispondenti organismi imolesi e bolognesi per le zone di operazione della 36a Brigata 30 Con­temporaneamente GAP e SAP vengono chiamati ad affiancare la lotta dei contadini e l'ordine per tutti è: NON UNA MACCHINA DEVE TREBBIARE!
A poco a poco il grano viene però mietuto - per evitare che marcisca nei campi - e lasciato in covoni sparsi per i campi 32, lontano dalle strade; poi alla fine dell'estate sia per far cessare incendi e devastazioni da parte dei nazifascisti, sia per procurare farina ai contadini e ai parti­giani viene impartito l'ordine di trebbiare nelle zone più controllabili dal movimento e come per incanto ricompaiono i pezzi mancanti delle trebbie, fatto che lascia sbigottiti gli occupanti nazifascisti. I partigiani non solo montano la guardia mentre si trebbia, ma aiutano i contadini nell'opera; dove invece la trebbiatura avviene forzosamente sotto il controllo delle forze repubblichine, i GAP effettuano azioni di sabotaggio rendendo inservibili le macchine, cosicché alcuni proprietari intimano ai contadini di battere il grano utilizzando il vecchio metodo delle «cerchie». La battaglia si rivela un grosso successo anche da un punto di vista politico, tanto che nelle zone di montagna il raccolto viene interamente diviso tra contadini e partigiani escludendo così i padroni; nei poderi di fondo valle invece dove i rapporti di forza sono diversi e quindi è più contrastato il tentativo della Resistenza di imporsi in modo determinante come forza di governo, il raccolto granario viene quasi necessariamente spartito tra contadini, partigiani, padroni e tedeschi mentre una ultima parte va perduta.