Testimonianze - L'incontro con gli alleati di Giovanni Tabanelli


Il giorno che seguì la distruzione dei ponti e del municipio di Casola mi portai da Cugna (dove mi ero rifugiato dopo che la 36a Brigata, di cui facevo parte, si era collegata agli alleati) fino in paese che continuava ad essere bom­bardato dagli alleati malgrado fosse stato evacuato dalle truppe tedesche. Qui incontrai Antonio Benericetti, membro del CLN locale, Imerio Turicchia ed Ermanno Bassani ed insieme decidemmo di raggiungere il comando alleato per far cessare l'inutile bombardamento che oltretutto causava morti e feriti tra la popolazione civile. 
Partimmo nel pomeriggio senza avvertire altri delle nostre intenzioni ed anche senza precise indicazioni sul luogo sede del comando. Ci inerpicammo verso Belfiore superando alcuni campi minati mentre alcune scariche di artiglieria si abbattevano su Montefortino e Mezzomondo. 
A Buta gli sfollati ci avvertirono che i civili trovati nella zona di prima linea venivano portati nei campi di concentramento alleati, ma proseguimmo fiduciosi nel fatto che la nostra posi­zione di ex partigiani e membri del CLN sarebbe pur contata qualcosa. 

Da Buta raggiungemmo la Corte, quindi la Villa e poi il Mulino di Baffadi da cui, attraverso campi minati, ci portammo alla Cestina. 
Qui incontrammo i primi soldati alleati: una compagnia indiana comandata da un capitano al quale riuscimmo a far capire che facevamo parte della brigata partigiana che aveva combattuto a Monte Battaglia (al che commentò: «buono partisàn») e che a Casola non c'erano più tedeschi. Il capitano rimase dubbioso in quanto   ci spiegò   nella notte precedente avevano catturato una pattuglia tedesca a Monte Scappa, ma poi ci mise a disposizione una guida per raggiungere il comando. Seguendo il filo del telefono arrivammo alle Cortine - sede del comando inglese - che stava facendo notte. Avvertimmo l'interprete - un tenente italiano - ed immediatamente il tiro delle artiglierie fu spostato verso la catena dei Gessi dove si erano appostati i nazisti. 
Ci accordammo inoltre per l'invio di una pattuglia a perlustrare il paese. Il mattino seguente il tenente italiano ci prese in disparte e ci raccomandò di evitare assembramenti in paese, di non dare vino agli indiani e di aver sem­pre ben presente il fatto che per loro Casola era ancora territorio nemico. 

Incu­riositi da enormi cumuli di materiale bellico gli chiedemmo se significavano una sosta del fronte. Ci rispose che infatti l'avanzata su Casola era prevista per marzo dell'anno seguente: una vera disgrazia per i casolani, per il paese, per la campagna che si sarebbero venuti a trovare in un infernale corridoio. A dire il vero, da un punto di vista militare, la decisione degli inglesi era ineccepibile in quanto portandosi fino a Casola si sarebbero venuti a trovare sotto il tiro diretto delle batterie tedesche. Partimmo con circa cinquanta indiani al comando di un capitano pure india­no: io li precedevo mentre Bassani stava in coda (gli altri due avevano proseguito per Palazzuolo). 
Rifacemmo la strada del giorno prima fino alla Corte dove alcuni sfollati del Cantone convinsero il comandante indiano (contro il mio parere) a passare per Mezzomondo in modo che per proseguire avremmo dovuto liberare i loro campi dalle mine. 
A Mezzomondo gli artificieri si misero al lavoro con i loro strumenti, ma subito fu chiaro che le mine erano troppe così che il capitano ordinò di precederli a distanza verso il paese. 
Confidando sulla fortuna e sull'ipotesi che i tedeschi non avessero minato il corridoio a ridosso del reticolato che risaliva il monte li guidai fino alla strada provinciale dove potemmo proseguire lungo il sentiero al centro che risultò sgombro da mine. 

La notizia del nostro arrivo in paese si propagò in un baleno e già nel piazzale della chiesa si era radunata una piccola folla. Malgrado i miei avvertimenti i casolani si fecero pericolosamente vicini tanto che i soldati indiani li allontanarono gridando e puntando le armi, anche se in effetti intorno c'erano solo donne, vecchi e bambini. 
Finalmente potemmo proseguire lungo la strada del muraglione fino alla piazza Oriani: i soldati procedevano guardinghi ai lati della strada con le armi puntate verso le finestre e riparandosi dietro gli angoli e le colonne dei portici mentre i bambini, al centro della strada, gridavano e facevano segno che non c'era pericolo, che i tedeschi se n'erano andati. 
Una volta constatato che il paese era sgombro da forze nemiche, il capitano si acquartierò nel palazzo Ungania. 
I rapporti con la popolazione civile si erano intanto fatti più cordiali e dopo il rancio prese corpo un piccolo commercio di sigarette, cioccolato e altri generi che mancavano da molti giorni in paese. Non furono però tollerati assembramenti e gli indiani non lasciarono cadere del tutto una certa aria di sospetto. 

Nel primo pomeriggio accompagnai una pattuglia in perlustrazione fino al limite nord dell'abitato e al ritorno un soldato si intrufolò in una casa dove - secondo l'usanza romagnola - un vecchio gli offri del vino. Lo vedemmo uscire urlante e gesticolante e solo la minaccia di denunciarli al capitano li fece desistere dall'entrare tutti. 
A sera la compagnia indiana abbandonò il paese e fece ritorno al comando ripercorrendo la strada del mattino e portando con sé due tedeschi che si erano dati prigionieri ad Aurelio Ricciardelli nei pressi del paese e che questi aveva rinchiuso in uno stalletto. 
Qualche giorno dopo il comando alleato prese definitivamente sede a Casola.